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mercoledì 1 settembre 2010

IL VOTO ALLE DONNE: Un lungo cammino di civiltà


Bisogna riconoscere che la battaglia per il riconoscimento del diritto di voto alle donne, dall'800 al 1946 è tutta in salita. La questione non trova molti consensi nel mondo politico ai primi del 900. Il debutto del voto femminile avvenne nelle elezioni per la ricostutuzione delle amministrative democratiche che si svolsero dal 10 marzo al 7 aprile 1946 in 5.772 comuni. Le donne parteciparono a questo diritto civile in modo molto massiccio, contribuendo a eleggere le prime consigliere comunali. Ma la vera "prima volta" delle elettrici italiane si ebbe con il voto del 2 giugno per il referendum istituzionale e l'Assemblea costituente.

Circa il 90 per cento delle elettrici si recò alle urne. Tra le prime parlamentari italiane che si batterono affinché la Costituzione sancisse l'uguaglianza giuridica fra i sessi ricordiamo le comuniste Teresa Mattei, Teresa Noce, Nilde Jotti e la socialista Lina Merlin.

Nel 1864 Anna Maria Mozzoni nell'opuscolo LA DONNA E I SUOI RAPPORTI SOCIALI denunciava quanto segue: "La donna ha sempre subito la legge, senza concorrere a farla". In quell'epoca al movimento socialista stava più a cuore la legislazione sociale che non il voto alle donne, considerato un obiettivo borghese.

Nel 1910 la questione del voto alle donne fu al centro di un acceso contrasto fra Filippo Turati e la sua compagna Anna Kuliscioff ; Turati era contrario e Anna Kuliscioff favorevole a impegnare il partito socialista in questa battaglia. Tuttavia nel 1912 alcuni deputati socialisti (tra cui lo stesso Turati) proposero un emendamento per estendere il diritto di voto alle donne. Giolitti considerava il voto alle donne "un salto nel buio" e l'emendamento fu respinto con 209 voti contrari, 48 a favore e 6 astenuti.

La questione tornò di attualità dopo la prima guerra mondiale. Anche il papa Benedetto XV si pronunciò a favore del voto alle donne.
Il 6 settembre 1919 la Camera approvò con174 voti favorevoli e 55 contrari la legge che concedeva il voto alle donne. Prima che il provvedimento fosse approvato dal Senato, si verificò lo scioglimento delle camere. Nella nuova legislatura stesso iter: legge approvata dalla Camera dei deputati, ma il Senato non fece in tempo ad approvare la legge.

La marcia su Roma di Mussolini fece saltare tutto. La primavera del 1946 era ancora molto lontana.

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