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lunedì 26 novembre 2012

La festa del ringraziamento. IL TACCHINO

Di Colomba Maria Oddi

E' una festa celebrata ogni quarto giovedì di novembre negli STATI UNITI e in CANADA,di origine cristiana,viene fatta risalire al 1621 dai padri pellegrini,che si riunivano per ringraziare il Signore del buon raccolto,a quei tempi si viveva solo del raccolto dei campi.
Nel bel mezzo della guerra di secessione 1861-1865 Abramo Lincoln proclamò la celebrazione del giorno del Ringraziamento,e da quel giorno diventò una festa annuale,perse pian piano il contenuto cristiano .Oggi rappresenta una delle feste più importanti per i nordamericani.
Ora parliamo dei tacchini di New York. Il tacchino faceva parte delle meraviglie del Natale,le festività natalizie erano annunciate dalle luminarie,dalle conversazioni a scuola e in famiglia,e forse,soprattutto dallo spettacolo dei tacchini che passeggiavano per le vie della città,fino agli anni 1960 era normale vedere gruppi di tacchini per le strade .I tacchini erano portati in giro da venditori forniti di bastone che li conducevano per i quartieri e li vendevano alle famiglie. A quel punto si riuniva il plotone di esecuzione, si ubriacava l'animale facendogli ingoiare dell'acquavite e, quando era così sbronzo da trovarsi d'accordo su tutto,gli si tagliava la gola con un sol colpo.
Il tacchino doveva essere fresco,in una epoca in cui i frigoriferi erano rari,e non si conosceva il significato della parola. Sono trascorsì gli anni e i tacchini vivi sono scomparsì dalla città.
Oggi li vendono nei supermercati,spennati ,freschi o congelati. La festa del tacchino di cui se ne mangia in abbondanza è il giorno del Ringraziamento,il tempo non si vede,non si sente eppure modifica l'uomo e l'ambiente,grazie alla tecnologia lo spettacolo del tacchino è sparito, poveri tacchini!

lunedì 19 novembre 2012

Quando la terra non sa di pane


Abou Roxas

Nome palestinese

di Rosario Amico Roxas

Incontrai i palestinesi nel 1991 a Tunisi; erano sistemati alla periferia di Hammam Liff, cittadina immediatamente a sud di Tunisi. Erano i profughi di Sabra e Shatila, ma è più corretto dire che erano i pochi superstiti di quella immane strage.

Il primo incontro fu assolutamente casuale; terminato il mio lavoro, mi recavo in una dei grandi alberghi in Avenue Bourguiba; solo lì era possibile incontrare altri operatori stranieri, scambiare quattro chiacchiere e bere qualcosa stante che nei normali bar non si trova nulla.

A piccoli gruppi entravano in questi alberghi, senza consumare nulla, si sedevano e cercavano in tutti i modi di attirare l’attenzione degli stranieri per dialogare con loro e narrare la loro tragedia, visto che nel mondo occidentale non se ne parlava più.

Ricordo bene quel giorno del nostro primo incontro; erano in tre, indossavano abiti che avevano vissuto tempi migliori, ma cercavano di mantenere un atteggiamento dignitoso, quella dignità che si porta dentro anche nei momenti peggiori.

Un cameriere aveva insistito perchè consumassero, ma non potevano…per ovvie ragioni. Fu allora che intervenni e li invitai al mio tavolo; così consumarono una spremuta di arance….a testa.

Parlarono di loro, delle loro famiglie, di quanti erano arrivati in Tunisia. Ringraziavano il governo tunisino per l’ospitalità, ma lamentavano la mancanza di un lavoro che permettesse loro di guadagnare l’indispensabile per vivere; un lavoro qualsiasi, purchè onesto (ci tenevano tanto a specificarlo). Due di loro erano medici e il terzo era ingegnere di 2° livello (il nostro geometra); attendevano di essere chiamati a Gaza, per tornare nella loro terra ed essere utili al loro futuro paese.

Ci incontrammo parecchie volte, sembrava un appuntamento serale, che spesso si concludeva in una trattoria molto modesta, dove si consumavano, però, pietanze tipiche; ritenevano uno spreco inutile andare in un ristorante.

Un giorno mi invitarono nel villaggio dove risiedevano; avevano tardato a rivolgermi l’invito per avere il tempo di preparare una accoglienza superiore alle loro possibilità .

Fu allora che incontrai Ibrahim Slimane, già direttore dell’Istituto di filosofia islamica a Beirut, ma residente a Sabra in quanto palestinese e, come tale, emarginato; era giunto con la moglie e la figlioletta di dieci anni (oggi veterinaria in Libia e docente di genetica bovina all’Università di Tripoli). Aveva perso due figli, ma li attendeva ancora, convinto che fossero vivi e che stessero cercandoli, senza sapere dove cercare.

Rimase poco tempo ad Hammam Liff, perché fu invitato dal governo algerino ad assumere la direzione dell’istituto di filosofia islamica di Hanneba (l’antica Ippona).

Mi fece ottenere l’invito come osservatore a Il Cairo, in occasione dell’annuale congresso dei filosofi arabi, per quell’anno, 1997, presieduto proprio da lui, trattandosi di uno dei massimi filosofi allora viventi, universalmente riconosciuto nel mondo arabo. Quell’anno, al termine del congresso fu stilato un documento con il quale si prospettava la soluzione del dramma dei palestinesi con la creazione di DUE STATI Confederati per UN Popolo (i semiti):

· Stato semita ebraico

· Stato semita palestinese

ma furono poste delle condizioni che resero la proposta inaccettata dal governo sionista, nel quale imperava Ariel Sharon, bollato dagli ebrei semiti come “macellaio di Sabra e Shatila”. Si voleva la restituzione della Palestina ai semiti, escludendo i sionisti; si chiedeva il ritiro delle basi americane e il disarmo nucleare. Il documento fu firmato anche dagli intellettuali israeliani, ma fu respinto dal governo sionista.

Il mio rapporto con Ibrahim si intensificò, da lui appresi quel poco che adesso conosco dell’Islam.

Nel 1998 , in occasione del Ramadhan seppi che avrebbero rinunciato al sacrificio dell’agnello, perché troppo caro per le loro finanze. Accetto di raccontare come quell’anno arrivai ad Hammam Liff con quattro agnelli, perché fu l’occasione nella quale mi venne riconosciuto il nome Abou Roxas, del quale vado orgoglioso.

Portai quattro agnelli perché il gruppo si componeva di quattro sotto-gruppi, assimilati per tribù.

All’ora del sacrificio, chiesi che i quattro maggiorenti, riconosciuti come capi, si alternassero, in segno di unità dell’intero gruppo; così avvenne, ma invitarono me, cattolico e cristiano, a guidare la preghiera, per la quale esordii “As-salam Aleikun” ben conoscendo la doppia natura di quell’invocazione “la pace sia con voi”, ma anche il 15° nome attribuito a Dio, e quindi “Dio sia con voi”; capii che quella preghiera era il loro modo di essere in comunione con Dio, mentre il modo cristiano è ancora fermo al “fare la comunione”. Fu lo steso Ibrahim a chiamarmi per primo Abou Roxas e tale sono rimasto fino al mio rientro in Italia nel 2002.

Trasferito ad Hanneba con quello che restava della sua famiglia, così mi recavo ogni fine settimana a trovare quel mio amico; coltivavamo il desiderio di tradurre in italiano l’imponente “Storia Universale di Walī al-Dīn Abd al-Raḥmān ibn Muḥammad ibn Muḥammad ibn Abī Bakr Muḥammad ibn al-Ḥasan al-Ḥaḍramī, più noto come Ibn Khaldūn; lui traduceva in francese ed io riportavo in italiano, ma con la certezza di avere utilizzato il più vero significato di ogni singola parola.

Non andammo oltre la Muqaddima, cioè l’introduzione, dove pure viene anticipata di oltre cinque secoli, l’esordio della sociologia come scienza.

Le traversie patite gli avevano prodotto un cuore polmonare cronico; mi aveva chiesto una di quelle bombole di ossigeno portatili e ricaricabili che in Algeria non si trovavano. Nel corso di uno dei miei rientri in Italia, trovai quella bombola e telefonai per dire che l’avrei portata presto; fu la moglie a dirmi che non sarebbe più servita. Scrivo ciò per rendere omaggio ad un amico prezioso e un maestro irrepetibile.