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domenica 17 marzo 2013

Tradimenti, traditi e traditori



Grasso presidente del Senato, M5S si spacca e in parte lo vota

(Il Messaggero del 17 marzo 2013)

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Ma Grillo ha tuonato: "Chi ha tradito si dimetta !"

Non ha però chiarito chi sarebbero i traditori e chi i traditi.

Avrebbe voluto Schifani presidente del Senato ?

Avrebbe voluto Grasso eletto con tutti i voti del suo movimento ?

Sappiamo bene cosa avrebbe voluto l'oligarca Grillo, ormai rapito dai sogni di potere; per lui ieri sarebbe venuta meno la sua logica del "tanto peggio tanto meglio", per cui si ritrova a perdere una parte del suo personale consenso, senza tenere in conto che i pochi grillini che hanno votato Grasso, hanno recuperato credibilità presso gli elettori che da loro si aspettano proprio gli interventi determinanti, per mettere all'angolo il berlusconismo e sostenere un governo che dovrà impegnarsi a ricostruire tutto ciò che Berlusconi ha distrutto.

L'acrimonia di Grillo contro il PD non trova motivazioni credibili: se si ritiene, come Grillo va predicando, che B. ha fatto solo i suoi interessi, sarebbe folle contrastare il PD e impedire la ricostruzione che potrebbe controllare da vicino, evitando giochi politici e non sociali.

Così emerge che i veri traditori sono quei grillini che hanno ubbidito ciecamente all'oligarca, tradendo le attese degli italioani.

Grillo deve decidersi alla scelta: vale più il suo movimento e la sua persona, sopravvalutata solo da lui stesso, o la tutela degli interessi nazionali ?

Ma forse non lo sa nemmeno lui !

Rosario Amico Roxas

sabato 9 marzo 2013

Una sociologia per il nuovo Pontefice



Se non è facile, e forse nemmeno possibile, delineare una storia precisa della sociologia cristiana, tuttavia si possono fare interessanti e utili rilievi su questa materia. Il primo è di carattere geografico; mentre nell’Occidente-Europa la sociologia di matrice religiosa si è sviluppata soprattutto in campo cristiano, nell’Occidente-America, terra promessa della sociologia, non si può dire che in questo settore di studi sia all’avanguardia. E’, inoltre, utile ricordare che la sociologia come scienza non è più di idee ma di fatti (crf. F. Barbano, Teoria e ricerca…, Milano, 1955); l’indagine religiosa è stata condotta e dominata dalle ricerche sull’ambiente familiare, sul posto di lavoro, sullo stato dei gruppi di minoranze etniche, linguistiche o culturali, sull’insegnamento religioso nelle scuole.

Per adeguarsi ai tempi e dialogare con il mondo intero, la Chiesa deve accettare il relativismo della sociologia e rispettare le altre culture, le altre religioni, senza inalberare selettive radici cristiane dell’Europa, suggerite dal ragioniere/filosofo Marcello Pera, di estrazione razzista e di idee politiche malleabili a convenienza.

Paolo VI fu uno dei più grandi pontefici del sociale perché ebbe come consulente laico Jacques Maritain, mentre Ratzinger ha esaltato Pera non comprendendone i limiti e le ambizioni personali; da ciò nacque quel “Senza radici” che identifica il cristianesimo come un elemento antropologico distintivo dell’Europa, come il naso adunco degli Aztechi.
La sociologia religiosa ha privilegiato il terreno delle pratiche pie, ma con l’evoluzione del pensiero sociale della Chiesa l’interesse ha coinvolto altri settori della ricerca sociologica con implicazioni di ordine etico nella società laica.
Il sociologo cristiano si trovò a dover esaminare altre vie, connesse e interdipendenti, a quella prioritaria delle pratiche religiose. Innanzitutto dovette prendere atto delle relazioni dell’organismo sociale della Chiesa con la complessità della società; dovette, quindi, analizzare da una parte l’inserimento della Chiesa nella società moderna e dall’altra l’influenza esercitata sulla Chiesa dalle diverse condizioni e dai vari fattori del mondo sociale, c’è, infatti: “… una stretta interdipendenza tra il sacro e il profano, fra il tutto sacro e il tutto profano” (Guarlert Th. M. Steeman, La conception de la sociologie religieuse chez Gabriel Le Bras, in Social Compass, Vol.VI n. 1, Parigi, 1956)
Con l’orientamento attuale, inaugurato con il Concilio Ecumenico Vaticano II, si deve tener conto del fatto che

“…se la religione vive nel cuore degli uomini, ogni religione positiva nasce e si sviluppa all’interno di una società che influenza nelle forme e nei contenuti” (Cfr. G. Le Bras, Etudes de Sociologie Religueuse”, in Social Compass, vol. VI n. 1 Parigi 1956).

Questa constatazione, pur se del 1956, rimane estremamente attuale, in quanto sottolinea la necessità di affrontare e risolvere, per quanto possibile, la problematica dell’interazione tra Chiesa e Società, tra Stato e Chiesa, tra Religione e Organizzazione della vita civile.
Ma l’appartenenza religiosa acquista diverso significato a seconda della società a cui si riferisce; alla diversità delle Società corrisponde una differenza anche della religione positiva che vi si associa. Si comprende, così, il tipo di influenza che l’Islam esercita nelle nazioni arabo-musulmane, lì dove la priorità della religione influenza, a volte positivamente ma a volte negativamente, l’itinerario dello sviluppo sociale. Sembrano maturi i tempi di allargare gli orizzonti della sociologia religiosa e di cercare l’esplorazione degli immensi problemi che ruotano intorno ai rapporti tra Fede mondo moderno.
L’intensità di pressione sul mondo moderno da parte della sociologia cristiana si è attenuta, rivolgendosi prevalentemente agli aspetti sociali che contengono problematiche umane che esigono la presenza di valori più specificatamente di ordine religioso, quali la solidarietà verso i più deboli, la formazione di uno Stato Sociale in grado di mitigare le differenze tra ricchi e poveri Da parte cristiana c’è una importante apertura al dialogo sociologico con le altre religioni, specie a seguito del Concilio, ciò è ampiamente dimostrato da importanti documenti pontifici che hanno puntualizzato non pochi sviluppi avvenuti nella dottrina sociale della Chiesa; l’evoluzione sociale della Chiesa è stata e continua ad essere importante, anche se rimane statica la dottrina teologica.

Sotto questo aspetto si potrebbe parlare di flessibilità dell’organismo ecclesiale, poiché è opportuno che la Chiesa si adegui alle diverse situazioni sociali, senza, però, che la Chiesa si identifichi con una particolare struttura sociale, in quanto deve salvaguardare la propria autonomia nel fluire delle forme di organizzazione sociali che si succedono nella storia.
Con questa premessa corre obbligo rendersi conto dell’eco suscitata dalla pubblicazione dell’enciclica Populorum Progressio, che rivestì, e riveste ancora, una grande importanza anche per gli studiosi di sociologia; in tale enciclica, infatti venne offerta la prospettiva migliore per valutare lo status della Chiesa nella società moderna e non limitatamente agli anni della emanazione dell’enciclica, ma in prospettiva futura, in una visione "universale" che trascende l’attualità per proiettarsi nella dimensione umana ed etica che compete alla Chiesa.
Se l’insegnamento pontificio suscitò e suscita ancora echi e reazioni anche tra i non credenti, occorre accettare che mai il dialogo interreligioso è stato così intenso. Sembra che Paolo VI abbia voluto ascoltare le voci profonde del mondo, abbia voluto interrogare gli uomini per rispondere ai loro dubbi, partecipando alle angosce e alle attese.
Balza, ancora oggi, dalla PP l’immagine di un pontefice moderno, immerso nella vita dell’umanità, pronto a levarsi in mezzo ad essa, non con spirito autoritario, ma con paternità universale, estesa a credenti e non credenti.
Furono in molti a chiedersi in quale modo avrebbe potuto esprimersi il nuovo corso della Chiesa, a quali gesti la Chiesa avrebbe affidato la nuova coscienza di sé e delle proprie responsabilità verso il mondo moderno. In molti pensarono che, chiusa la parentesi conciliare e reso il dovuto omaggio alle conclusioni innovative, tutto sarebbe continuato come prima, con appena qualche cambiamento necessario ai nuovi tempi ma limitati a far si che niente di sostanziale avrebbe inciso sul rapporto tra la Chiesa e l’intera umanità.

Rosario Amico Roxas

domenica 3 marzo 2013

Diversamente politici

Non basta il voto degli elettori per fare di persone dotate di buona volontà anche dei buoni politici.
La loro vocazione di servire la democrazia si scontra frontalmente con l’imposizione del capo che non tratta, non discute, non collabora, e non permette che si possa trattare, discutere, collaborare.
Lo slogan è “tutti fuori” e per ottenere tale risultato non c’è nulla di meglio che esaltare la ingovernabilità e paralizzare un paese già palesemente claudicante di suo.
I giovani che hanno creduto, gli adulti che hanno voluto protestare, si ritrovano adesso nell’alveo di un fiume dopo un furioso temporale, mentre esondano i margini e la piena dilaga travolgendo ciò che resta.

Non c’è un rimedio che viene proposto,valutato, ipotizzato, ma solo il peggio che dovrebbe rigenerarsi e modificare, per inerzia, la storia della nazione.
L’idea di distruggere per poter ricostruire al meglio è vecchia, ed ogni tentativo di proporla è stato causa di immani tragedie, perché la storia può essere indirizzata a progetti di sviluppo e di progresso, ma non certo di riedificazione dopo aver raso al suolo l’immagine stessa della storia.

Così tanti giovani fiduciosi sono stati ridotti a “diversamente politici”, asserviti alla assurda logica del “tanto peggio tanto meglio”; è stata carpita la loro buona fede, la loro fiducia, senza dare loro nulla in cambio se non la promessa di distruggere ciò che ancora rimane.
Senza speranza non c’è futuro.

di Rosario Amico Roxas