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venerdì 18 luglio 2014

Si ripete l'intifada?


(Nazir Qabbani Publications, Beirut, 1988)


La reazione sionista al lancio di razzi palestinesi, mi ricorda la reazione sionista al lancio di pietre in quella che viene ricordata come l'INTIFADA.
Nella Palestina occupata, violentata tutti i giorni, svilita nelle sue legittime richieste, peraltro suffragate da risoluzioni dell’ONU, vanificate, però, dal solito veto degli USA, iniziò un nuovo tipo di protesta. Furono i bambini e i ragazzi di Gaza a iniziarla; disponevano solo di sassi per manifestare la loro rabbia di occupati, e i sassi utilizzarono; fu l’inizio dell’Intifada, che si innesta come un puzzle nello scacchiere mediorientale per definirne meglio i contorni. L’intifada rappresentò la volontà palestinese di contare solo sulle proprie forze, fosse anche in quelle dei ragazzi delle pietre. Molto meglio di qualunque concetto io possa riuscire a mettere insieme, pur nel grande amore che riconosco di nutrire per quel popolo martoriato, nei versi di un poemetto, diventato il manifesto dell’Intifada, ci sono le parole che descrivono con tragico e poetico trasporto il contenuto globale dell’Intifada. Lo scrisse un grande poeta libanese Nazir Qabbani, testimone del massacro di Sabra e Shatila, dove i profughi palestinesi furono massacrati dalle truppe libanesi del generale Haddhad con l’appoggio dell’esercito israeliano.

I bambini delle pietre
hanno disperso le nostre carte
versato inchiostro sui nostri vestiti
deriso la banalità dei vecchi testi……
Bambini di Gaza
non badate alle nostre discussioni,
non ascoltateci,
siamo gente di calcoli a freddo,
fate le vostre battaglie e lasciateci soli,
noi siamo morti senza tomba.

La cosa più importante
è che hanno abbandonato
la casa dei loro padri,
hanno abbandonato l’obbedienza.
Bambini di Gaza
non consultate i nostri scritti,
noi siamo i vostri genitori
non siate come noi.
Noi siamo i vostri idoli
non adorateci.
Bambini di Gaza
che salutate la follia del tempo,
il tempo della ragione
se n’è andato da molto,
insegnateci la vostra follia.

La reazione di Israele alle sassate dei bambini di Gaza, dei ragazzi delle pietre, fu mostruosa. Il Dipartimento di Stato americano, controllato dalle lobbies israeliane, convinse il governo della Casa Bianca che se i palestinesi non fossero stati sterminati, un leader arabo, come Saddam, con ambizioni personali avrebbe potuto cavalcare la “follia delle pietre”. Washington si convinse che era necessario tenere a bada il rais di Baghdad, non più affidabile ai loro occhi; nello stesso tempo chiuse entrambi gli occhi sui massacri che gli israeliani iniziarono contro il popolo palestinese, come ritorsione alla “follia delle pietre”.

Arafat, leader carismatico dei palestinesi, si ritrovò a subire l’orbita di Saddam. Saddam era il rais dell’Iraq, capo supremo e indiscusso, Arafat era il leader carismatico, zaim, e come tale necessitava del consenso del suo popolo, consenso che, come vedremo, rappresenta una delle fonti del diritto islamico. Nel 1988 mentre Arafat preparava ad Algeri la riunione del CNP (il Parlamento dell’OLP) che doveva sancire la fine delle belligeranze con Israele e il riconoscimento di quello Stato, in vista della creazione di uno Stato Palestinese, si ebbe la netta sensazione del fallimento cui andava incontro il leader palestinese, a causa della diffidenza che l’Occidente proclamava nei suoi confronti, con quotidiani attacchi da parte della stampa addomesticabile e addomesticata. Quando tale sensazione stava per diventare una realtà, da parte dei Palestinesi più intransigenti giunse la disponibilità a trattare un accordo che prevedesse la rinunzia alla resistenza in cambio di una politica internazionale indirizzata verso un negoziato e una rapida concertazione fra le parti e la creazione di uno Stato palestinese autonomo e riconosciuto.

Il messaggio, riportato da tutti i giornali arabi, recitava così:
“Non vogliamo fare la fine dei pellerossa d’America; la via del negoziato è l’unica praticabile”.

Arafat credette di aver vinto la sua battaglia all’interno dell’OLP, con la rinuncia al terrorismo e il riconoscimento dei confini di Israele. Proprio mentre Arafat parlava della pacificazione israelo-palestinese ad Algeri, i panzer israeliani invadevano la striscia di Gaza.

La speranza di risolvere la questione palestinese presso un tavolo di trattative fallì miseramente. Quando Saddam occupò il Kuwait, profittò della situazione per dare un senso arabo a tale invasione, legando lo sgombero di quel paese all’abbandono, da parte degli Israeliani, dei territori palestinesi occupati. La popolazione Palestinese credette di aver trovato in Saddam il leader che avrebbe potuto ottenere il rispetto dei diritti palestinesi. Arafat, come già detto, era solo un leader carismatico, uno zaim, bisognoso del consenso del suo popolo; non avrebbe mai potuto contrastare la nuova speranza che era sbocciata nel cuore dei palestinesi. Arafat, spinto dal suo braccio destro e amico di tante battaglie Abu Iyad, riuscì ad impedire a Saddam la pretesa di rappresentare e far propri gli interessi del popolo palestinese, così Saddam fece uccidere Abu Iyad, per dare un segnale forte allo stesso Arafat; ma fallì in pieno nel suo disegno, perché, indistintamente, tutti i palestinesi, che compresero i disegni del rais, non accettarono più di mettere insieme le loro rivendicazioni con la crudele follia del rais di Baghdad.

Rosario Amico Roxas



sabato 5 luglio 2014

Dal binomio Ratzinger/Berlusconi, a binomio Bergoglio/Renzi.



Nel suo intervento in occasione dell'insediamento del semestre italiano, Renzi ha dimostrato di avere preso le distanze da Berlusconi, berlusconismo e centrodestra, ragion per cui ha raccolto commenti favorevoli. Ma in Italia la musica cambia e tornano i tromboni a infastidire l'intera orchestra che cerca di suonare all'unisono.

Si capisce immediatamente che Renzi sente sul collo il fiato grosso, ansimante, tipico di chi si trova nella fase terminale del percorso politico. Si tratta di una contraddizione che rischia di inficiare i progetti di riforme e l'attuazione del programma di ripresa economica. Il pregiudicato Berlusconi è la palla al piede della buona volontà di Renzi, mentre lo stesso Matteo dimostra, ancora, di non sapersi liberare dell'ombra malefica che lo circonda.
Mi duole proporre un parallelo che non vuole essere blasfemo, ma semplicemente realistico.

Questo fiato sul collo che ridimensiona l'operato di Renzi, somiglia tanto al medesimo fiato sul collo che incombe su Papa Francesco: è il fiatone di Ratzinger, che, pur non apparendo ufficialmente, condiziona l'opera rinnovatrice di Francesco. Se non sentisse il fiatone del predecessore emerito, non avrebbe mai sostenuto che "...il comunismo ci ha rubato la bandiera".
Si tratta della bandiera spirituale della Chiesa dei poveri, ma una affermazione che, con tutto il rispetto per Papa Francesco, non mi sento di condividere né di sforzarmi a capire.

Nella bandiera comunista, quella che sventola nelle feste dell’Unità, c’è il rosso porpora della battaglia, ma non c’è Cristo, per una scelta laica che in troppi hanno interpretato in senso anticlericale.

Le parole di Papa Francesco non chiariscono nulla, anzi peggiorano la situazione proprio nelle contraddizioni che vediamo annunciarsi dall’altra parte del Tevere.

La bandiera del Cristo dei poveri è saldamente in mano a quei sacerdoti che combattono giorno dopo giorno negli angusti anfratti del “mondo dei vinti” e garrisce alta sospinta dal vento della santità di Mons. Oscar Romero, per il quale Ella, Santo Padre, ha sbloccato il processo di beatificazione, dopo che il suo predecessore, oggi emerito, ne aveva bloccato l’iter.

La Teologia della Liberazione rappresenta, oggi, ciò che in tempi passati rappresentarono il monachesimo e i giganti della santità, in quel periodo buio della Chiesa impegnata nelle lotte per le investiture, nella crociate, nel potere temporale e, infine, nell’Inquisizione, paradossalmente chiamata “santa”.

Nella bandiera issata dalla TdL, Cristo è presente, anche se si tratta di una immagine di Cristo lontana dalle icone dell’opulenza, mostrando un Cristo povero, mendico, straccione, affamato, assetato, negletto, sfruttato, umiliato nella persona e nell’anima, come sono i fedeli ai quali si rivolgono i sacerdoti dell’America Latina, ispirati dal loro protettore Oscar Romero, ma è un Cristo pronto a perdonare, ad amare, forte di quel “manifesto” dell’uguaglianza rappresentato dal Discorso della Montagna con le Beatitudini che rappresentarono la più grande rivoluzione sociale che mai il pianeta Terra abbia visto.

Si tratta di valori che nessuno potrebbe mai rubare, perché messi a disposizione di tutti gli uomini di buona volontà.

Ora tocca a Renzi, che non ha, ancora, capito che l'epoca del duetto Ratzinger/Berlusconi, dopo aver fatto tanti danni, è finita, e sarà la Storia ad esprimere le sue valutazioni di rigorosa condanna.

Ora c'è il duetto Begoglio/Renzi sui quali è riposta la speranza della stragrande maggioranza della popolazione, quella che vive di lavoro, fatica, sudore, e che non riceve l’uso dei propri diritti, perché soverchiati dai doveri, mentre una sparuta minoranza, che dall’accoppiata Ratzinger/Berlusconi, ha ricevuto battesimi formali in mondo visione, sostegno, appoggi, condoni, sanatorie, scudi fiscali, con lo IOR sempre pronto a coprire le truffe.

Se nel campo ecclesiale c’è la “Teologia della Liberazione” che sosterrà, come sostiene, i diritti dei più deboli, nel campo laico e civile comincia ad emergere la “Politica della Liberazione”, che sta già dando i suoi frutti, con arresti e carcerazioni che mirano alla “Liberazione” del palcoscenico sociale dei profittatori che hanno devastato la nazione, l’economia, il lavoro, l’etica, la morale, pilotando lo sviluppo verso la competizione, rinnegando la cooperazione, per poter vincere “facile” disponendo della forza del denaro che non genera lavoro.

Rosario Amico Roxas