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mercoledì 11 ottobre 2017

La conquista dell'America


La distruzione di una civiltà

Il 12 ottobre è stato sempre per l'America e per il mondo il giorno in cui festeggiare la scoperta del nuovo mondo da parte di Cristoforo Colombo,
Mi ricordo che nel 1992 (in occasione dei cinquecento anni dalla conquista dell'America) ci sono stati molti festeggiamenti, iniziative si sono moltiplicate. I progetti trasudavano un eurocentrico trionfalismo.
Qualcosa di buono oggi è successo perché il 12 ottobre 2017 non si festeggerà come gli altri anni in tutta l'America. Los Angeles e altri stati hanno cancellato il Columbus Day. La parata del navigatore Colombo è stata sostituita con la «Indigenous Peoples Day».

Non c’è stato mai niente da festeggiare perché i conquistatori arrecarono alle popolazioni locali terrore e morte.
Parlare ancora di scoperta e non di conquista e invasione di un nuovo mondo significa confondere subordinazione coatta e incontro tra culture (ovvia ed evidente falsità). Bisogna che ci sia una grande riflessione a proposito di questo avvenimento per fare chiarezza. Invece ancora oggi il mondo europeo non riesce a esprimere tranquillamente un giudizio sereno e veritiero sui conquistadores: personaggi terribili, rozzi e feroci.
È stata, quindi, una conquista e bisogna rimarcare «l'estraneità culturale» dei conquistatori e la prospettiva storica di dominazione in cui si colloca quel lontano 12 ottobre, quando furono messi in moto meccanismi di sopraffazione che hanno segnato secoli di soprusi.


Gli indios vennero considerati al di sotto delle bestie dagli spagnoli solo perché risultavano apparentemente arretrati, e vennero definiti degli omuncoli che devono essere sottomessi e che è lecito sottoporre a violenze pur di far loro conoscere la Bibbia , “convertirli” e depredarli dei loro averi.

Era il 12 ottobre 1492 quando Cristoforo Colombo "scoprì" l'America. Dopo due mesi di navigazione finalmente apparve la terra. Quando fu sbarcato, Colombo incontrò gli indiani perché credeva di essere arrivato in India e invece era approdato nel nuovo mondo. In un secondo momento, fu la volta dei conquistadores spagnoli. Non ci fu affatto un incontro tra due culture differenti ma si verificò, da parte degli spagnoli, una cultura egemonica, conquistatrice ed egoista. Non poteva esistere terreno d’incontro con una cultura collettivista come quella degli indios. Non c’è stato un scambio di culture ma lo sterminio di una cultura (quella dei nativi) da parte dell’altra (quella europea).
Da quel lontano 12 ottobre si avviarono meccanismi di violenza e di sopraffazione che ancora oggi persistono. Dopo il viaggio di Colombo gli spagnoli organizzarono insediamenti stabili nelle isole caraibiche come ad esempio a Cuba.
Il primo ad organizzare una spedizione di conquista verso la terraferma fu Hernan Cortés che si avventurò fino al Messico. Cortés parti da Cuba per una spedizione in Messico il 18 febbraio 1519 per approdare il 22 aprile dello stesso anno.
Vennero ridotti in schiavitù moltissimi nativi e vennero utilizzate le ricchezze del loro territorio fertile e del sottosuolo ricchissimo, favorendo di fatto lo sviluppo economico in tutta l'Europa e non solo in Spagna.
I conquistadores uccidevano senza pietà gli indigeni ostili a sottomettersi, li atterrivano con le armi per dimostrare com'era facile avere il sopravvento di stuoli numerosi di gente seminuda e pacifica.
Nel 1500 l'impero Azteco e quello degli Incas subirono l'invasione degli spagnoli. Per la loro superiorità militare gli europei conquistarono i due imperi e imposero con la violenza la loro lingua e la loro religione. Anche oggi, infatti in tutta l'America del sud si parla la lingua spagnola. In Brasile (conquistato dai portoghesi) si parla la lingua portoghese.
Non è stata riconosciuta ancora ufficialmente la più grande usurpazione della storia.
Gli uomini bianchi si dovrebbero vergognare per avere distrutto la più grande civiltà che allora esisteva e per avere fiaccato lo spirito di quei popoli fieri.Questo processo che ha portato allo sterminio di circa 40 milioni di indiani tra il 1500 e il 1650 si conferma come un processo definitivo di conquista, di usurpazione del territorio, di malvagità verso i nativi.


Tra passato e presente, oggi come tanti anni fa.

Ieri sono stati i conquistatori spagnoli, portoghesi e inglesi. Oggi sono gli yankees, le multinazionali o quei poteri senza volto dentro la stanza dei bottoni che continuano a sottomettere gli indiani d'America (i pellirosse eredi di Toro Seduto).
Si può benissimo affermare che oggi l'America (come anche l'Australia) è un continente colonizzato dall'Europa nel quale nessun popolo indigeno ha potuto riprendersi il suo territorio e il suo potere.
Il 25 giugno del 1876 fu realizzata l'ultima vittoria dei pellirosse contro «i lunghi coltelli» come alcune tribù chiamavano i soldati americani. Fu il giorno della battaglia di Little Big Horn in cui il generale Custer diede l'addio al suo sogno di gloria. Ma nemmeno 14 anni dopo il sogno della GRANDE NAZIONE INDIANA si infranse perché Toro seduto fu ucciso da rinnegati indiani mentre si trovava nella riserva di Standing Rock.
Un'intera tribù indiana fu massacrata. Il 29 dicembre del 1890 è ricordato come un giorno funesto perché morirono molti indiani Lakota Sioux... Fu un vero è proprio eccidio perpetrato dall'esercito regolare degli USA in cui combatté anche Alce Nero (capo religioso dei Lakota).
Desidero citare un pensiero di Wallace Black Elk (scrittore e nipote del mitico Alce Nero) che scriveva «Tutte gli oggetti tecnologici di oggi, compresi i computer, dovrebbero essere usati per l'unione dei popoli e la pace. Bisogna cambiare mentalità prima che qualcosa esploda».

Oggi i popoli indigeni delle Americhe stanno acquisendo la consapevolezza di dovere accedere ai loro diritti: alla terra, alla cultura, all'identità. Però devono lottare ancora molto per ottenere i loro diritti, devono scontrarsi con scogli insormontabili.

Uno scoglio è costituito dall'oleodotto che deve portare il greggio dal Nord Dakota fino all'Illinois. Trattasi di un oleodotto progettato dalla società Trans Canada ma che l'amministrazione di Obama aveva bloccato dopo lotte e proteste da parte dei Sioux e di migliaia di attivisti. Alla fine del 2016 Obama dichiarava: «L'oleodotto Keistone XL non si farà». Già in quel periodo Trump aveva preso la sua decisione.

Dopo la decisione del Presidente Trump di fare sgomberare il campo dei Sioux l'oleodotto si farà. Trump è contro le esigenze dei Sioux, sta con le multinazionali, con le Big Oil, anche se l'oleodotto danneggia l'ambiente e toglie spazio vitale ai pellirosse.
Sioux e attivisti hanno lottato fino allo stremo delle loro forze ma non ce l'hanno fatta contro l'arroganza e lo strapotere più becero. Oggi, come tanto tempo fa, vince il più forte anche se ha torto marcio.

Oggi come allora vengono violati le terre e i luoghi sacri degli indigeni.
L'America, che è considerata una terra ricca di opportunità per tutti, non lo è mai stata per il popolo dalla pelle rossa. La loro esistenza e quella delle civiltà precolombiane è finita alcuni secoli fa con l'invasione dei bianchi d'Europa. È una colossale ingiustizia. I pellirosse non possono sempre subire e poi quando si ribellano vengono presentati come cattivi...
La situazione degli ultimi superstiti è umiliante e offende la loro intelligenza. Sono confinati nelle riserve e si adattano spesso (per vivere) a fare da richiamo ai turisti ripetendo gli stessi riti che i loro avi rivolgevano alle divinità. I loro figli vengono rifiutati dai coetanei bianchi. Sono adesso, in una condizione peggiore di quella dei neri d'America. Mentre la maggioranza degli uomini di colore ha cercato di integrarsi con la «civiltà bianca», i pellirosse si sono mantenuti compatti in una società che tende a eliminare l'idea di gruppo per fare spazio a quella della individualità.
Forse gli indiani d'America di oggi combattono una battaglia perduta in partenza (come in passato) ma non si perdono d'animo. Ogni episodio, come questo dell'oleodotto, serve per fare riflettere il mondo sui loro problemi, per mostrare come la storia di un popolo non deve morire se gli ideali sono giusti. Si possono perdere tante battaglie ma la guerra finale si vincerà.
Gli indiani non vogliono scomparire ma non desiderano nemmeno mescolarsi e omologarsi alla civiltà dei bianchi. Penso che è un loro legittimo diritto, è l'ultima carta che hanno in loro possesso per fare ricordare ciò che i «visi pallidi» hanno compiuto.

Si deve fare conoscere alle nuove generazioni la vera storia, non quella dei vincitori che ci raccontano da sempre ma quella dei vinti. Non deve essere perduta la memoria di questi popoli. La memoria non deve essere una statua di cera conservata nei musei ma uno strumento per leggere il passato e costruire un ponte verso un futuro diverso e più libero.











sabato 12 novembre 2016

Vince Trump ma perde il welfare.

Di Rosario Amico Roxas
L’idea che ha lanciato Trump e lo ha fatto vincere a queste anomale presidenziali, era rivolta agli americani che lavorano e producono, alla piccola e media borghesia abituata ad avere molto più di quanto necessita per vivere decorosamente. La propaganda aggressiva di Trump mirava ad incoraggiare i renitenti a qualunque sacrificio, e mal disposti a sostenere il Welfare a costo di sacrificare qualcosina del proprio orticello. Sono in molti che hanno dimenticato le loro origini, provenienti da famiglie emigrate e inserite nel “sogno americano”, queste dimenticanze si esaltano nell’egoismo di genere, non di classe.

Temono la violenza che imperversa e pensano di combatterla con una violenza maggiore, favorendo il “fai da te”, armandosi come se le città, le strade, le scuole, le chiese, gli uffici, i supermercati, i grandi magazzini, non fossero altro che una prima linea la cui difesa è affidata a chi estrae la pistola per primo, vecchio retaggio di un nostalgico Far West, terra di cacciatori di taglie, di sceriffi plenipotenziari, e di eroi inventati chiamati ed esaltati a difendere i soprusi con i quali, solo il secolo scorso, vennero sterminati gli “indiani” d’America, che rappresentarono e rappresentano ancora oggi, il primo grande olocausto della storia moderna. I figli e i nipoti (a volte anche pronipoti !) che varcarono gli oceani alla ricerca di una vita vivibile, hanno votato Trump che promette loro di bloccare le immigrazioni, costruendo muri e colpendo indiscriminatamente tutti quelli che una legge non scritta identifica come abusivi; di sbarrare la medesima strada percorsa dai loro padri, in fuga dalla miseria.

Nel Gotha dell’economia americana non ci sono (se non in casi rarissimi) indiani d’America, come non ci sono afro-americani di colore; ci sono i plutocrati eredi delle grandi ruberie, delle stragi dei bisonti, del consumo di petrolio; si tratta di quegli stessi plutocrati che tengono in piedi le lobby delle armi, dell’energia, dei prodotti di largo consumo; si tratta di quella modestissima percentuale di americani, che non supera il 5/6 % dell’intera popolazione, che possiede il 60% dell’intera ricchezza nazionale; sono i medesimi che incoraggiano il dominio della violenza esercitata dal Ku Klux Klan (acronimo: KKK), certi di una impunità garantita dalla mentalità radicalmente razzista.

Provenendo dall’alleata America, una simile mentalità rischia di contagiare tutto l’Occidente e se ne vedono i primi bagliori nei commenti di piccolissimi personaggi, gonfi come un’otre, del livello di Matteo Salvini & C.

lunedì 26 settembre 2016

Sandro Pertini: un partigiano come Presidente.

di Michelangelo La Rocca


Sandro Pertini nacque il 25/9/1896 ed oggi si celebra il 120° anniversario della sua nascita a Stella, un piccolo comune della provincia di Savona.

Credo che non sia retorico affermare che Sandro Pertini sia stato il Presidente della Repubblica più amato da tutti gli italiani e penso che questa particolare “onorificenza” se la sia conquistata per la schiettezza, per il rapporto leale e diretto che seppe intrattenere con i suoi concittadini.
Da giovane s’innamorò subito della libertà e fu un amore adamantino e come i diamanti più autentici durò per sempre.

Il fuoco della libertà che ardeva dentro la sua anima lo portò ad impegnarsi già durante la prima guerra mondiale combattendo sull’Isonzo. Ed in quell’occasione per i tanti meriti conseguiti sul campo nel 1917 gli fu conferita una onorificenza militare.

Fiero antifascista, convinto socialista, durante il regime fascista subì diverse condanne (dalla reclusione al confino e fino alla condanna a morte che per fortuna sua e nostra non fu mai eseguita).

Tutte queste condanne non gli impedirono di diventare un protagonista della resistenza italiana e nell'aprile 1945 partecipò agli eventi che portarono alla liberazione dal nazifascismo, organizzando l'insurrezione di Milano e votando il decreto che condannò a morte Mussolini e altri gerarchi fascisti.


Con il ritorno in Italia della libertà e della democrazia divenne, da socialista, un protagonista di primo piano della prima Repubblica: fu eletto deputato all'Assemblea Costituente per i socialisti, quindi senatore nella prima legislatura e deputato in quelle successive, sempre rieletto dal 1953 al 1976. Ricoprì per due legislature consecutive, dal 1968 al 1976, la carica di Presidente della Camera dei deputati, infine fu eletto Presidente della Repubblica Italiana l'8 luglio 1978.


Del Pertini politico si sa tutto, le sue biografie parlano chiaro e tutti i suoi biografi concordano nel sottolineare la sua lealtà, il suo coraggio, la sua schiettezza, la sua totale sintonia con gli italiani, la freschezza giovanile del suo pensiero anche quando la sua carta d’identità registrava una certo numero di anni e lui stesso, non senza una punta di civetteria, non esitava a definirsi giovane di spirito.
Nel ricordare il 120° anniversario della sua nascita non vogliamo, però, soffermarci sul Pertini grande ed importante uomo politico della Prima repubblica, ma vogliamo sottolineare i connotati, le sfumature dell’uomo Pertini, alcuni lati del suo carattere, burbero ed attraente nel contempo.

E per fare ciò ci piace ricordare il Pertini indignato in occasione del terremoto in Irpinia nel 1980, il Pertini trepidante nel giugno del 1981 per la sorte del povero Alfredo Rampi, detto Alfredino, caduto in un pozzo di Vermicino ed il Pertini primo tifoso dell’Italia campione del mondo nel 1982.

Il 23 novembre 1980 un terremoto di magnitudo 6,9 colpì la Campania centrale e la Basilicata centro-settentrionale: fu una strage. Alla fine il bilancio fu di 2.914 morti, 8.848 feriti e circa 280.000 sfollati. L'allora presidente della Repubblica, Sandro Pertini, il 25 novembre, nonostante il parere contrario del presidente del Consiglio Forlani e altri ministri e consiglieri, si recò in elicottero sui luoghi della tragedia. Di ritorno dall'Irpinia, in un discorso in televisione rivolto agli italiani, Pertini denunciò con forza il ritardo e le inadempienze dei soccorsi, che sarebbero arrivati in tutte le zone colpite solo dopo cinque giorni. Le dure parole del presidente della Repubblica causarono l'immediata rimozione del prefetto di Avellino Attilio Lobefalo, e le dimissioni (in seguito respinte) del Ministro dell'interno Virginio Rognoni. Il discorso di Pertini ebbe come ulteriore effetto quello di mobilitare un gran numero di volontari che furono di grande aiuto in particolare durante la prima settimana dal sisma.

Ho riascoltato l’audio del suo intervento e la sua indignazione morale per i ritardi nei soccorsi vibra alta e forte ed è per questo che riuscì a scuotere le coscienze e non poteva essere altrimenti: solo un uomo, un grande uomo come Sandro Pertini, con la sua dirittura morale poteva riuscire in ciò che nessuno, né prima, né dopo di lui, è riuscito a fare: far vergognare i disonesti, i corrotti!
L'incidente di Vermicino fu un caso di cronaca italiana del 1981, in cui perse la vita Alfredo Rampi detto Alfredino (nato a Roma l'11 aprile 1975), caduto in un pozzo artesiano in via Sant'Ireneo, in località Selvotta, una piccola frazione di campagna vicino a Frascati, situata lungo la via di Vermicino, che collega Roma sud a Frascati nord. Dopo quasi tre giorni di tentativi falliti di salvataggio, Alfredino morì dentro il pozzo, ad una profondità di 60 metri.

La vicenda ebbe grande risalto sulla stampa e nell'opinione pubblica italiana, tramite la diretta televisiva della RAI durante le ultime 18 ore del caso.

Quella tragedia scosse l’Italia, milioni di telespettatori seguirono quella drammatica vicenda e Sandro Pertini, interpretò al meglio il sentire degli italiani e si recò sul proposto seguendo con sofferta trepidazione il dramma di Alfredino, con un’umanità semplice e sincera, come un padre o un nonno che segue il dramma che coinvolge il proprio figlio od il proprio nipote.

Come tutti ricordiamo l’Italia intera, anche quella non appassionata di calcio, si strinse attorno agli azzurri che, a sorpresa, vinsero il mondiale di calcio battendo i campioni del Brasile e dell’Argentina, prima, della Germania, poi, nell’indimenticabile finale di Madrid.

Dal punto di vista tecnico fu il mondiale di Paolo Rossi, il Plabito nazionale, che con i suoi goals divenne capo cannoniere del mondiale spagnolo e contribuì in modo determinate a sconfiggere i più blasonati campioni del Brasile, dell’Argentina e della Germania.

Fu il mondiale del famosissimo urlo di Tardelli, autore di uno dei tre goals con i quali l’Italia batté la Germania in un’indimenticabile finale vinta dagli azzurri per 3-1.

Ma fu anche, se non soprattutto, il mondiale di Sandro Pertini che, nonostante non avesse mai seguito il calcio, fu il primo tifoso dell’Italia.

Fu l’occasione ed il modo per entrare in completa e totale sintonia con il suo popolo, con gli italiani che furono mai come in quei giorni uniti attorno alla loro Nazionale salita ai vertici del calcio mondiale. Fu tripudio di popolo, di nazione e Pertini, da Presidente, ne fu il più genuino e solare interprete.

Chi non ricorda le sue manifestazione di giubilo, schietto e sincero, accanto a Juan Carlos, il Re di Spagna che faceva gli onori di casa?
Indimenticabili sono anche le immagini della sua partita a scopone sull’aereo che ha riportato gli azzurri campioni del mondo in Italia.

È stata la partita di scopone più famosa della storia azzurra: il presidente Pertini in coppia con Zoff contro il duo Causio-Bearzot. Scena epica, di ritorno dal Mondiale vinto in Spagna nel 1982. Sfida accanita giocata in aereo, vinta da Causio e Bearzot con Pertini che si infuria con Zoff.

Dino Zoff, qualche anno dopo, solo qualche anno dopo, ammise che l’errore che aveva portato alla loro sconfitta era stato commesso dal Presidente.
In quel mondiale Sandro Pertini fu un vero tredicesimo uomo in campo, un vero capitano non giocatore ed anche lui, a suo modo, diventò un campione del mondo per la sua capacità, più unica che rara, di sapere entrare in perfetta sintonia con i suoi concittadini, con quel suo popolo in quel momento tifoso della sua Nazionale sorprendentemente salita nell’Olimpo del calcio mondiale.

Concludendo questo breve ricordo di Sandro Pertini in occasione del 120°anniversario della sua nascita per cogliere l’essenza più profonda ci sono alcune parole ed alcuni aggettivi che ricorrono sempre quasi a fotografare il suo dna umano e politico: socialista appassionato, partigiano coraggioso, antifascista coerente, politico solare, uomo onesto e trasparente!

Questo è stato Sandro Pertini, il partigiano come Presidente, il più amato dagli italiani!



domenica 21 agosto 2016

Il futuro del turismo in Sicilia

di Michelangelo La Rocca
 

Sembra che la crisi internazionale causata dall’imperversare del terrorismo jihadista possa rilanciare il ruolo turistico della Sicilia, la bellissima e grande isola al centro del mediterraneo, ponte ideale tra l’Europa ed il Continente Nero.
Par di capire, infatti, che tantissimi turisti che hanno grandi remore e fortissimi timori a passare le vacanze in alcuni paesi del Nord Africa guardino con un certo interesse all’isola siciliana: è singolare come a volte da contingenze estremamente negative possono nascere delle grandi opportunità!
Alcuni dati della corrente stagione turistica sembrano dare credito a questa incoraggiante ipotesi, d’altra parte c’è da dire che la Sicilia ha (meglio avrebbe) tutte le carte in regola per diventare la perla turistica del Mediterraneo.
Le ha prima di tutto per la sua millenaria storia, poche terre possono vantare l’alternarsi nei secoli di tantissime civiltà diverse (dai Sicani agli Elimi, dai Siculi ai Fenici, dai Greci ai Romani, dai Bizantini agli Arabi, dai Normanni agli Spagnoli) delle quali ancora oggi si possono ammirare ricchissime testimonianze.
Le ha per la strategica posizione che la porta ad essere il ponte tra il Continente Europeo e quello Africano e tra la civiltà Occidentale e quella Orientale.
Le ha per la sua arte, la sua cultura, la sua archeologia, i suoi paesaggi, il suo mare, le sue isole, i sui vulcani (l’Etna soprattutto), il suo sole.

Quante Regioni in Italia o altrove possono vantare città ricche di arte come Palermo, Catania, Agrigento, Siracusa e Ragusa per limitarci a citare le più importanti?

Che dire della perla dello Ionio, la splendida Taormina, un vero mito internazionale con il suo Teatro Antico, la sua magica posizione dalla quale domina il suo bellissimo mare?
Come trascurare la perla del Tirreno, la magnifica Cefalù, la bella tra le belle, con il suo incantevole Duomo?
Come si fa a non parlare della mitica Erice che sembra un borgo medievale della Toscana trapiantato in Sicilia che dall’alto dei suoi 751 metri regala al fortunato turista dei panorami mozzafiato?
E la magica Valle dei templi ad Agrigento?
La più grande testimonianza culturale lasciata dai Greci in Sicilia, meta di turisti che arrivano da tutte le parti del mondo che giustamente è stata proclamata dall’Unesco patrimonio dell’Umanità?

Quante altre Regioni possono vantare l’arte barocca che c’è nella magica Ibla o nella splendida Noto che con la ricostruzione della cattedrale di San Nicolò, il più grande esempio di barocco siciliano, sembra rinata?
Inviando queste cartoline da alcuni dei centri più belli dell’Isola si fa sicuramente torto a tante altre realtà turistiche emergenti e di sicuro avvenire:
la splendida Sciacca che regala ai suoi visitatori tramonti mozzafiato (ad es. quello di Capo S. Marco), la capitale del cuscus, San Vito lo Capo col suo splendido mare e la sua magnifica spiaggia, la riserva dello Zingaro nella vicina Scopello, le saline di Trapani e dintorni.

Veramente unica è la bellezza degli arcipelaghi che circondano la Sicilia:
a partire dalle incantevoli Eolie (Lipari, Vulcano, Panarea, Salina, Alicudi, Filicudi), le magiche Egadi (Favignana, Marettimo, Lèvanzo per citare solo le maggiori), le splendide Pelagie (Lampedusa, Linosa e Lampione), Ustica e Pantelleria.
Lampedusa merita una menzione speciale:
perché, oltre che essere isola incantevole per le sue bellezze naturali, è ammirevole e commovente per il suo fraterno spirito di accoglienza: se ci fosse un premio Nobel per l’accoglienza Lampedusa non avrebbe rivali!

Non si può parlare delle allettanti prospettive della Sicilia senza accennare alla sua gastronomia, ai suoi vini delle sue dodici rinomate strade del vino.
In Sicilia, come in nessun’altra Regione d’Italia, il cibo è veramente cultura e vera categoria dello spirito, potendo contare sui frutti della sua terra che profumano di sole (quanta dolcezza sotto le spine dei fichi d’India!), su una eccellentissima pasticceria a base di mandorlo e pistacchio e su vini di altissima qualità.
 
La Sicilia è bellissima, magnifica ma potrebbe diventare addirittura paradisiaca se solo avesse una classe dirigente degna di questo nome.
La situazione della viabilità è disastrosa, con cantieri interminabili e sempre aperti, gallerie non illuminate, manto stradale dissestato. Provate a percorrere le strade che da Enna portano ad Agrigento ed avrete modo di constatare come le nostre considerazioni siano tutt’altro che esagerate.
Mancano linee ferroviarie degne di un Paese civile e moderno.
Per non parlare poi del disastro ambientale creato da una dissennata gestione della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti.
Piange il cuore a vedere cumuli di rifiuti maleodoranti sotto il feroce caldo agostano lungo le strade di bellissimi centri siciliani a partire dal capoluogo palermitano.
La Sicilia ha bisogno di essere governata e governata bene: duole dirlo, ma oggi non lo è.
Con un’altra classe dirigente la Sicilia non avrebbe avuto bisogno della paura creata dal terrorismo jihadista per aumentare le presenze turistiche sul suo territorio.
Ha tutto, veramente tutto, per potere diventare un polo di attrazione turistica di sicuro valore internazionale, diamole l’unica cosa che le manca: un Governo degno di questo nome!

sabato 16 luglio 2016

Prima di WhattsApp



Sembra che sia trascorso un secolo prima di Facebook, Skipe, Wattsapp e invece è trascorso poco tempo. Ricordate la vita prima di WhattsApp e prima dei social network?

Ricordate quelle belle cartoline illustrate che si spedivano dai luoghi di villeggiatura? Adesso non si trovano più. Trovare una cartolina illustrata è un’impresa, se vai in edicola a chiederla ti guardano in modo strano, come per dire: “Questa cosa vuole?”.

Ricordate quando per telefonare a casa si cercava una cabina telefonica? Adesso io le vedo queste cabine telefoniche, sembrano strumenti arcaici ma è trascorso poco tempo che sono fuori uso. Adesso siamo sempre connessi, facciamo sapere a tutti dove siamo e cosa facciamo, penso che si è acquisita una certa dipendenza.

Nessuno avrebbe immaginato (solamente pochi anni fa) che il classico sms, sarebbe stato messo da parte, sarebbe diventato obsoleto.La tecnologia oggi viaggia alla velocità della luce e il messaggio dal telefonino è diventato obsoleto. Ormai l’uso di WhattsApp è diventato capillare per connettersi con familiari e amici.
Il funzionamento è semplice, alla portata di tutti e l’applicazione è gratuita. Sono questi i suoi punti di forza.

Esistono i “punti di debolezza”: catene di S. Antonio a non finire che sono davvero una grande rottura. E poi tutti quei video che fanno scaricare rapidamente la batteria.

Insomma WhattsApp (come tutte le applicazioni) va usato con moderazione e oculatezza se non vogliamo perdere il nostro io più profondo, se vogliamo ancora intrattenere rapporti che non siano soltanto virtuali...

giovedì 7 luglio 2016

Giù le mani dalla costituzione

Di Michelangelo La Rocca


La Costituzione della Repubblica Italiana, la legge fondamentale della Repubblica italiana, è stata approvata dall’Assemblea Costituente il 22 dicembre 1947, promulgata il 27 dicembre seguente, pubblicata sulla gazzetta ufficiale n. 298 del 27 dicembre1947 ed entrò in vigore il 1º gennaio del 1948.
Il primo gennaio del 2018 compirà 70 ma non li dimostra, conserva una straordinaria freschezza ed un’impressionante attualità e reclama soltanto di essere attuata nella sua pienezza piuttosto che la necessità di essere revisionata od ammodernata.


E’ costituita da 139 articoli suddivisi in quattro sezioni:

Principi fondamentali (articoli 1-12)

Parte prima “Diritti e doveri dei cittadini” (articoli 13-54)

Parte seconda: “Ordinamento della repubblica” (articoli 55-139)

Disposizioni transitorie e finali (disposizioni I-XVIII).

La Costituzione Italiana nata dalla Resistenza per consolidare e difendere la democrazia e la libertà appena conquistate nel tempo ha subito delle modifiche, ma per fortuna i principi fondamentali e la prima parte non sono stati messi mai in discussione.

E non poteva essere altrimenti perché i principi fondamentali che stanno alla base della nostra Carta Costituzionale sono tra i più avanzati del mondo ed anche soltanto pensare di poterli modificare sarebbe stato semplicemente blasfemo.

La stessa cosa penso possa dirsi della prima parte della carta costituzione dove sono previsti i diritti ed i doveri dei cittadini legati fra loro in un rapporto sinallagmatico così stretto ed indissolubile da rappresentare il nerbo della convivenza all’interno dello Stato Repubblicano.

Elenchiamo solo alcuni dei principi che trovano la loro solenne affermazione nel preambolo della Costituzione:

Il principio personalista, laicista, pluralista, lavorista, democratico, di uguaglianza, solidarista, di unità ed indivisibilità della repubblica, quello autonomista, internazionalista e per ultimo, ma non ultimo, quello pacifista.

Quanto ai diritti ed i doveri basti pensare ai diritti civili, ai diritti etico-sociali, ai diritti economici ed ai diritti politici.

Il solo elenco ci dice quanto e come la nostra Costituzione possa essere considerata all’avanguardia nel garantire i diritti degli Italiani e come abbiano fatto bene gli aspiranti nuovi padri costituenti a non prendere nemmeno in considerazione l’idea di potere modificare la sua prima parte.

La seconda parte, invece, è stata modificata in modo significativa nel 2001 ed altre volte è stata oggetto di tentativi di modifica che non sono stati portati a termine.

Basti ricordare la Bicamerale di D’Alema o la Commissione di Quagliariello che, però, non hanno avuto successo e non riusciti a fare approvare dalle due Camere alcuna proposta di modifica.

Diverso è stato il progetto di revisione portato avanti durante il governo Berlusconi nel 2005/2006 che approdò ad un testo approvato dal Parlamento ma che, poi, fu bocciato dagli italiani in occasione del referendum confermativo.

Quel progetto aveva qualche spunto positivo ma è stato percepito come la riforma della Devolution che rischiava di minare dalle fondamenta l’unità dello Stato e fu per questo che gli elettori giustamente lo bocciarono senza esitazione alcuna.

Dopo anni e tanti tentativi infruttuosi il Parlamento ha ora, durante il Governo Renzi, approvato una significativa riforma della Costituzione Italiana conosciuta sotto il nome di riforma Boschi dal nome del Ministro delle Riforme che ha profuso ogni sua energia affinché tale riforma venisse approvata.

Questa riforma ha preso spunto da esigenze e necessità largamente condivise: eliminare il bicameralismo perfetto, dare maggiore stabilità al sistema politico italiano, ridurre il numero dei parlamentari ed altri, tanti altri ancora.

Nonostante ciò le forze politiche si sono divise e la riforma è stata approvata col solo voto favorevole del PD e dei suoi piccoli alleati provenienti, tra l’altro, in modo trasformistico da schieramenti opposti.

La critica principale che viene rivolta è che tale riforma, se approvata, in combinato disposto con la nuova legge elettorale (il c.d. italicum) comporterebbe il rischio di una svolta autoritaria ed il timore che possa instaurarsi una sorta di dittatura della maggioranza e dell’uomo “solo al comando” di tale maggioranza.

Ma non è soltanto questo ad allarmare quanti hanno a cuore le sorti della nostra democrazia.
La riforma del Senato, ad esempio, è, a dir poco, approssimativa e pasticciata.
Si è partiti dalla giusta, e largamente condivisa, esigenza di eliminare il Bicameralismo perfetto ma si è finito col partorire una soluzione che lascia molto perplessi tantissimi autorevoli costituzionalisti.
I Senatori non verranno eletti direttamente, avranno l’immunità parlamentare, non costeranno alle finanze statali, hanno la possibilità di intervenire nel processo di approvare le leggi rendendo confusa la divisione delle competenze tra la Camera ed il Senato e senza che ci sia la certezza che il processo di formazione delle leggi possa diventare più spedito ed efficace.

E’ opinione largamente diffusa che piuttosto che un Senato come quello previsto nella riforma Boschi sarebbe stata meglio l’abolizione pura e semplice del Senato.

Si aggiunge che se la riforma costituzionale venisse approvata le Regioni ne uscirebbero fortemente indebolite e prive di qualsiasi autonomia, anche quelle di natura finanziaria e fiscale, e tutto il sistema delle autonomie in cui si articola l’assetto istituzionale della nostra Repubblica ne uscirebbe fortemente indebolito.

C’è un’altra ragione che consiglia di respingere nettamente il tentativo di modificare in modo così consistente la nostra bella Carta Costituzionale.

La riforma è stata votata a strettissima maggioranza da un Parlamento gravemente delegittimato dopo che la Corte Costituzionale con la propria sentenza 1/2014 dichiarò l’incostituzionalità della legge elettorale (il c.d. porcellum) con la quale lo stesso Parlamento era stato eletto, anzi nominato.
Le ragioni che stanno alla base della necessità di un voto fortemente contrario non vengono meno per il fatto che la Riforma ha alcuni indubbi aspetti positivi (l’introduzione dei referendum propositivi, l’esame di costituzionalità preventivo delle leggi elettorali, la restrizione del potere del Governo di emanare decreti leggi).
Chi scrive, da sempre interessato alle sorti democratiche del proprio Paese, oggi è in un momento di sofferta riflessione su cosa sia meglio fare, contrastato tra la consapevolezza che una riforma sia necessaria ed il timore che, per i motivi espressi prima, non sia la migliore delle riforme possibili.
Nel mezzo di questa sofferta ed incerta riflessione mi è venuto in mente che nella scienza medica a tutela della salute si applica il principio di “precauzione”.

Se esiste anche soltanto un serio dubbio che la costruzione di un impianto, l’uso di un materiale o di una tecnologia possano mettere a rischio la salute dei cittadini la costruzione di quell’impianto non si autorizza, quei materiali e quella tecnologia non si usano.

Credo che la democrazia e la libertà rappresentino la salute dell’anima di un popolo e se esiste anche solo il ragionevole dubbio, ed a sentire tanti ed illustri costituzionalisti siamo già oltre il ragionevole dubbio, che la Riforma della Costituzione di conio renziano possa mettere a rischio la salute della nostra anima di cittadini liberi e democratici, questa riforma non deve essere approvata.

Qualcuno sostiene che approvare la c.d. Riforma Boschi equivale a sfigurare una bellissima donna buttandole dell’acido sul viso: facciamo in modo che una simile brutalità non accada!
Difendiamo la Costituzione che, come ha detto il grande Benigni, è la più bella del mondo ed aspettiamo tempi e legislatori migliori per fare le modifiche veramente necessarie alla sua seconda parte.

Ed è per questo che io non l’approverò ed al referendum d’autunno voterò no senza esitazione alcuna!







domenica 3 luglio 2016

La coerenza di Marco Pannella

di Michelangelo La Rocca

Marco Pannella, il più sui generis politico italiano, il 19 maggio scorso, dopo una lunga malattia, ci ha lasciati.

Voglio proporre qui ed ora un ritratto dell’uomo e del politico Marco Pannella che vuole essere scevro di “servile encomio” e di “codardo oltraggio”.

Voglio fare subito una chiara premessa: non stravedevo per Marco Pannella, mi appariva troppo radicale per i miei gusti, troppo provocatorio, a volte mi sembrava un violento della “non violenza” con i suoi scioperi della fame che sembravano dei ricatti belli e buoni per imporre le proprie idee anche a coloro che non le condividevano.

La morte, però, copre col proprio misterioso e pietoso velo l’asprezza della polemiche e consente di ragionare con pacato distacco sulla sua figura.

Marco Pannella è stato quasi sempre un” uomo contro”, ma seppe essere spesso un “uomo per”, sempre e comunque minoranza e minoritario, ha saputo però essere a suo modo uomo di governo capace di concludere le sue discusse, e spesso discutibili, battaglie con clamorosi successi, degni di un vero e proprio uomo di governo.

Basti pensare al divorzio ed all’aborto, due grandi, fondamentali conquiste in tema di diritti civili ottenute grazie al contributo attivo e decisivo di Marco Pannella.

Ha avuto il grande merito di innestare la lotta su questi due grandissimi temi che, col concorso di altre forze progressiste, prima fra tutte il PCI del grande Enrico Berlinguer, furono concluse con un successo insperato se si considera che contro la loro affermazione c’erano la Democrazia Cristiana e la Chiesa Cattolica.

Pannella è stato anche l’uomo della stagione referendaria, dei referendum vinti (su tutti quelli sul divorzio e l’aborto) e di quelli persi soprattutto per il mancato raggiungimento del quorum.

La partita della democrazia è sempre una bella partita che va giocata sempre e comunque, se però mi è consentito rivolgere una critica a Marco Pannella è quella di essere stato nel contempo l’uomo dell’affermazione del referendum e l’uomo della morte del referendum.

Avere fatto un ricorso abusato a tale importante istituto, anche per materie che non presentavano una grande attrazione politica, ha svilito questo istituto di democrazia diretta, fino a decretarne la fine con l’ormai consueto mancato raggiungimento del quorum.

Forse un uso del referendum più oculato e meditato avrebbe sicuramente allungato la vita di tale, importantissimo istituto di democrazia diretta ed oggi non saremmo qui a parlare della sua ormai irreversibile crisi.

Pannella è stato anche l’uomo che si è battuto con tutte le sue forze per carceri più civili ed umani, il modo in cui i carcerati hanno partecipato al lutto per la sua morte è stato assai eloquente.

Forse non è riuscito a vincere la battaglia a favore dei carcerati: abbiamo ancora carceri sovraffollati, i detenuti in attesa di giudizio sono ancora più numerosi dei condannati in via definitiva, le condizioni di vita dei carcerati sono tuttora disumane.

Marco Pannella, però, ha fatto tutto quello che era nelle sue possibilità per portare all’attenzione della classe politica e delle forze governative questa grande battaglia di civiltà giuridica e già questo, solo questo, è un suo indubbio, grandissimo merito.

Un’altra grande battaglia portata avanti da Marco Pannella è stata quella contro la fame nel mondo.



Anche questa è una battaglia ancora aperta, dagli esiti difficili: troppi sono ancora coloro che muoiono di fame (soprattutto donne e bambine del terzo mondo), troppe sono le risorse alimentari sprecate dal bieco consumismo moderno.

Marco Pannella, però, si è speso molto, con energia e passione, per questa nobile causa. E lo ha fatto senza calcoli, senza secondi fini: non a caso, infatti, Marco Pannella, nonostante i suoi indiscutibili meriti, non ha mai riempito le urne elettorali di schede recanti la croce sul simbolo del Partito Radicale, il suo partito .

Le sue battaglie, infatti, non erano mai per l’oggi, guardavano sempre al domani, se non al dopo domani, senza effimeri e meschini calcoli elettorali.

A volte sono sembrate discutibili le sue capriole politiche, si è alleato col centro destra (Berlusconi), ma anche col centro sinistra (Prodi).

Anche in questo, però, ha conservato una sua lineare coerenza: si alleava con la destra e con la sinistra, ma lui restava fermo sui principi, sui suoi programmi: usava gli eterogenei alleati per portare avanti le sue iniziative.

Forse lo faceva avendo presagito quello che ormai è sotto li occhi di tutti: i programmi ormai sembrano tutti uguali, si è affermato un pensiero unico ed i confini tra destra e sinistra sono così sfumati che, quasi quasi, non si vedono più.

Alla luce di ciò va rivista l’accusa di essere un trasformista perché, forse, aveva visto prima degli altri quello che ora vediamo tutti: la profonda ed irreversibile crisi delle ideologie!

Come aveva visto per tempo la crisi dei partiti, la degenerazione di quella che lui chiamava partitocrazia.

Oggi di fatto i partiti, tradizionali e non, sono morti, sono diventati liquidi, una vita dei partiti vissuta democraticamente da veri iscritti non esiste più.

In conclusione di questo breve ricordo e di questo veloce ritratto possiamo dire che Marco Pannella ha condotto tutte le sue grandi battaglie sempre nel rispetto di una personale coerenza: mai alleato col potere, sempre al servizio delle sue nobili idee.

Spesso aveva ragione, qualche volta torto, ma sempre in buona fede e senza mai tradire se stesso.

In tempi di buio trasformismo, di imperante qualunquismo non è poco, anzi è molto, moltissimo!

Buon riposo Marco nel luogo dei giusti, il posto che ti spetta di diritto per la onestà, la tua coerenza, il tuo coraggio.