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venerdì 22 ottobre 2010

C'ERA UNA VOLTA BANDIERA ROSSA


Ricordo le elezioni del 13 e 14 aprile 2008 quando la Sinistra Arcobaleno ha subito uno shock tremendo e non ha fatto più parte del parlamento italiano. Non avrei mai creduto che la Sinistra Arcobaleno scendesse sotto la soglia del 4%. Il risultato delle elezioni 2008 è stato disastroso per Bertinotti e compagni, al di sotto di ogni aspettativa. Quali sono i motivi che hanno causato questa sconfitta? La sinistra radicale non è stata più capace di scendere in piazza e interagire con la gente del popolo.Bertinotti nonvienepiù visto nell’ immaginario collettivo come una persona capace di stare in mezzo al popolo, capire i bisogni degli operai, dei disoccupati, delle casalinghe. Assomiglia sempre di più a un gentleman pieno di contraddizioni e il popolo non si sente più rappresentato da lui. Quello che doveva fare la sinistra l’ ha fatto e lo sta facendo Grillo.
E’ paradossale ma il posto della sinistra nel cuore della gente è stato preso da un comico.

LA CADUTA DEL MURO E LA FINE DEL COMUNISMO

In Europa il sogno del comunismo è finito insieme al crollo del Muro di Berlino. Considerando cosa ha rappresentato in Russia, in Cina e negli altri paesi dove è statoapplicato il comunismo, non possiamo provare una grande nostalgia. Un grande errore del marxismo è stato il fatto di usare una grande “energia” verso l’appiattimento e il conformismo delle masse. La dittatura del proletariato sulla borghesia è stata una “follia”. Tutta la massa proletaria non poteva governare quindi veniva rappresentata dal partito che gestiva la dittatura per conto del popolo. In questo modo finiva la dittatura del PROLETARIATO e rimaneva la dittatura del PARTITO. Cosa è realmente successo dopo il crollo del MURO?

TRASFORMISMO DEL P.C.I

I partiti comunisti europei hanno pensato di gettare via l’acqua sporca con tutta la biancheria dentro. Anziché riscrivere nuove pagine della storia con valori di libertà, di pace e di uguaglianza, si sono adeguati al modello imperialista vincente.Si è verificata la trasformazione del P:C:I in P.D.S e successivamente in D.S. Quando Moro e Berlinguer volevano porre le basi per il Compromesso Storico, la base comunista e democristiana ha manifestato un feroce malcontento. Oggi gli eredi di questi partiti hanno fatto molto di più, si sono fusi in un unico partito e cosi è nato il P.D. Oggi sia le forze politiche che gli elettori hanno smarrito valori e ideali. Forse è per questo motivo che raddoppiano i voti della Lega e l' Italia dei Valori di Di Pietro. Oggi i partiti non hanno più una base politicizzata. Da una parte ci sono i "poveri diavoli" che sperano in un posto di lavoro (per chi ce l' ha di mantenerlo) e dall'altra parte "avvoltoi" che desiderano fare carriera.
I partiti sono diventati strutture di potere utili soltanto ai propri candidati.. In particolar modo oggi bisogna pensare all'alternativa, riprendere in mano i valori di uguaglianza (non omologazione), libertà e pace e riproporli come le basi di un nuovo mondo. Occorre un movimento di gente che non sia "asservita" al potente di turno. Un movimento senza servi ne padroni per realizzare una società di uomini e donne più libera e giusta. Auspico una Italia nuova che da voce
a chi oggi non c'è l'ha:agli emarginati, ai sfruttati, ai clandestini, ai disoccupati.
Soltanto recuperando i contenuti di una cultura fatta di concetti come uguaglianza, libertà, rispetto e solidarietà; rilanciando movimenti di lotta e rivendicazione dei diritti, la sinistra italiana può ripartire per cambiare in meglio questa società.

mercoledì 6 ottobre 2010

DOPO LA FIDUCIA AL GOVERNO: la tregua armata

Ascoltando il dibattito nei due rami del Parlamento, mi pareva di assistere ad una scena surreale: un presidente del consiglio che per anni non ha perso occasione per svilire il Parlamento e la concezione stessa della democrazia rappresentativa, è venuto in quel luogo a riproporre l’idea di un’Italia vista come il migliore dei mondi possibili, tacendo su quante e quali siano le questioni irrisolte e mai affrontate. Vista la situazione, il tono è stato molto attento a non creare occasioni di frattura nei confronti di Futuro e Libertà. Ed i famosi “5 punti” altro non erano che pezzi del precedente programma del PdL impastati in modo da mettere insieme un qualcosa dal quale Fini ed i suoi non potessero sfilarsi.
Il cavaliere non ha infatti condotto il dibattito parlamentare come un bilancio di due anni di governo, cosa che sarebbe logica in una democrazia parlamentare, ma semplicemente allo scopo di cercar di neutralizzare e, se possibile, rendere irrilevante Futuro e Libertà.
Due erano i suoi obbiettivi:
1-Ottenere comunque la maggioranza, per non precipitare verso elezioni per le quali, visti i sondaggi, la situazione siciliana, lo straripare della Lega, non si sente affatto pronto; ed in ogni caso non lo sarà per un periodo di tempo non breve. Occorreva quindi comunque il voto dei finiani e del MPA. Era infatti evidente che, anche se le operazioni di acquisto, dapprima delegate a Nucara onde darvi un minimo di parvenza politica e poi, dopo il fallimento di questo tentativo, gestite in proprio e con più solidi argomenti, avessero sortito un risultato, questo sarebbe comunque stato insufficiente a garantire un minimo di governabilità senza l’apporto di Fini & C.
2-Ciò premesso, era parte essenziale della strategia del cavaliere il poter dimostrare una propria autosufficienza parlamentare, da esaltare mediaticamente, anche se -ripeto- questa avrebbe avuto un significato più simbolico che pratico. Ma, in politica, i simboli contano anch’essi, e per la grancassa mediatica, ancor di più.

Se il primo obbiettivo è stato ovviamente raggiunto, il secondo è stato nettamente mancato alla Camera, anche se il giorno dopo, al Senato, il cavaliere ha potuto parlare di un “allargamento della maggioranza”, dovuto ai transfughi di API e UdC. Ma il vero tentativo di allargamento “politico” della maggioranza, quello affidato a Nucara, era da giorni clamorosamente fallito.
E, se Berlusconi ha centrato il primo obbiettivo, ciò è stato solo per l’evidente ragione che nei disegni di Fini non c’era e non c’è alcuna strategia che preveda una sua collocazione al di fuori dell’area della destra. In aggiunta, non ha alcun interesse a rompere con la maggioranza ed a creare una situazione di ingovernabilità che avvicini le elezioni e che otterrebbe, semmai, il solo effetto di render meno aleatoria l’ipotesi di un governo tecnico. La dimostrazione di questa asserzione è arrivata puntuale, alla Camera, da Bocchino, in un intervento infarcito di “si, ma” e “ma anche”, che ha dato nettissima la sensazione che Futuro e Libertà non abbia e non avrà, a meno di più che evidenti provocazioni, alcuna intenzione di far saltare la maggioranza. E le provocazioni, più o meno gravi, arriveranno solo quando Berlusconi vi avrà ravvisato quell’utilità che oggi non vede. Nel frattempo, ciascuno dei due contendenti cercherà di ribadire la propria visione delle cose, con interventi e dichiarazioni, ma stando ben attento a non superare il punto di non-ritorno.
Ma il fatto di non aver conseguito l’autosufficienza di quota 316 (che comunque, nessuna persona sana di mente potrebbe immaginare come di per sé sufficiente a proseguire l’attività di governo), mette in difficoltà il cavaliere. Il quale sa benissimo che, alla fine, otterrà sempre l’appoggio della nuova maggioranza a tre gambe, ma solo dopo estenuanti trattative, stretto com’è tra la Lega e Fini. Si profila quindi, per il momento, un classico governo di coalizione, simile per tanti aspetti a quelli della aborrita Prima Repubblica: assisteremo a defatiganti ed il più delle volte poco concludenti vertici di maggioranza, nei quali il prezzo che il PdL dovrà pagare a Lega e FL sarà sempre più alto.
La conclusione è, quindi, che in questa sorta di “drole de guerre”, si sia arrivati per il momento ad una specie di armistizio tra il presidente del consiglio, palesemente indebolito, e quello della camera che, pur avendo conseguito un risultato importante e comunque in linea con quelli che erano i suoi obbiettivi, non è oggi in grado, ammesso che pure lo voglia, di scatenare l’affondo.

Adesso, la questione è cercar di capire cosa potrà scaturire da questo armistizio, per sua natura del tutto instabile: esso potrebbe risolversi con la ripresa delle ostilità ed una rottura definitiva, cui seguirebbero elezioni quasi immediate con l’attuale legge elettorale. E’ quanto spera, con lucidità, la Lega, che sa che da una prova elettorale avrebbe per il momento, solo da guadagnare. Ma Bossi, a sua volta, non può far saltare un tavolo al quale, bene o male, è legato il pasticcio del federalismo fiscale. E, con altrettanta facilità, la finta guerra potrebbe risolversi, come più volte è stato, in una intesa politica che aspiri a durare per tutta la legislatura. Certo, lo scoglio della questione giustizia resta in mezzo alla rotta ad ostacolare questa prospettiva, ma occorrerà vedere se alla fine le ragioni della convenienza reciproca non faranno sì che, in un modo o nell’altro, questo possa essere superato.
Su questo gioco di equilibri instabili si consuma la prosecuzione della legislatura, in una commedia del tutto avulsa dai veri problemi del Paese.

E l’opposizione? La discussione in Parlamento è stata lo specchio dei limiti e delle difficoltà in cui anch’essa si dibatte. Il PD pensa ad una sorta di CLN delle opposizioni, per costituire una coalizione che abbia l’obbiettivo di sconfiggere la destra e la costituzione di una maggioranza di governo finalizzata alla modifica della legge elettorale e, prevedibilmente, a realizzare alcuni provvedimenti “di minima” indirizzati ad affrontare almeno le più urgenti tra le emergenze economico-sociali. In sostanza, un governo di emergenza democratica ed economica.
Metodo, questo, in sé condivisibile, se non altro perché è difficile intravedere vie di uscita diverse. Ma un disegno del genere deve fare i conti, innanzi tutto, con le posizioni dei centristi. E qui cominciano i problemi.

Il Terzo Polo appare più come un oggetto di discussione accademica, che come il soggetto di una concreta prospettiva politica. Per esser tale, dovrebbe riuscire a coinvolgere un Fini che invece ha affermato chiaramente che la sua polemica col cavaliere è, e resta, interna alla destra. E dovrebbe sperare in una non facile esplosione del PD. Non solo; la prospettiva del Terzo Polo appare minata da una labilità politica di fondo: significativo, da questo punto di vista, l’intervento di Bruno Tabacci, che in un ragionamento serrato e consequenziale, ha imputato al cavaliere, oltre alle concezioni populiste ed alle politiche ad personam, una sostanziale inadeguatezza derivante più da quanto non ha realizzato o realizzato male e parzialmente del suo programma di governo, che dal fatto che tale programma fosse indirizzato verso una direzione sbagliata. Come dire: “Apprezziamo il progetto, ma non il modo col quale è stato attuato”. Mi sembra, questo, un ben debole modo di immaginare il ruolo di un Terzo Polo alternativo alla destra ed alla sinistra, a meno che il concetto di alternativa alla destra non si riduca all’aspirazione a candidarsi ad una più efficiente attuazione di quelle politiche di destra, sulle quali, immeritatamente, Berlusconi ha conquistato il suo consenso.
E’ questo un equivoco che Casini e Rutelli dovranno sciogliere alla svelta.

In quanto all’idea di un fronte comune delle opposizioni, destinato a costituire una maggioranza di tipo CLN, finalizzata a pochi ed urgenti interventi, questa deve evitare il rischio di nascere negli equivoci. Perché possa adempiere credibilmente al proprio ruolo, ed in funzione di questo conquistare la maggioranza dei consensi, occorre che, con molta chiarezza, tutti i soggetti costituenti definiscano preventivamente le loro posizioni in ordine alle più urgenti tra le emergenze del Paese, tanto quelle riguardanti il funzionamento della democrazia, che quelle economico e sociali; e, a partire da queste posizioni, si trovi una base d’intesa che, senza alcuna pretesa di essere esaustiva ed in grado di risolvere i problemi strutturali del paese, sia la più ampia possibile, e comunque tale da poter governare almeno le più immediate emergenze economico-sociali; e su questa, presentarsi, quando sarà, a chiedere il consenso dei cittadini per un Governo di emergenza sostenuto dal voto popolare, che non necessariamente dovrà durare un’intera legislatura.
Non è pensabile che un fronte di opposizione che aspiri a diventare maggioranza possa proporre ad un Paese che “non ce la” fa null’altro che la riforma della legge elettorale: occorrono urgenti interventi per correggere una rotta profondamente sbagliata sulle questioni economico-sociali; occorrono azioni immediate per ripristinare un minimo di coesione ed equità sociale e territoriale; occorre che si metta mano a ragionamenti complessivi circa gli indirizzi di politica industriale da seguire.

Occorre parlar chiaro agli italiani: dire loro che la proposta comune dell’ opposizione riguarda il ripristino dei loro diritti di cittadini e la messa in sicurezza di normali condizioni di vita democratica (il che significa anche intervenire su questioni quali l’informazione televisiva ed il conflitto di interessi); e dir loro che riguarda solo i più urgenti provvedimenti di politica industriale e sociale, senza la pretesa di poter avviare a soluzione le questioni strutturali del Paese. Per queste ci vorrà, superata l’emergenza, una “vera” maggioranza politica.

Quindi, è necessario avviare questo processo nella chiarezza: le forze di opposizione non possono rinviare all’infinito la definizione delle loro proposte e delle concezioni di società che ne sono alla base. Che non saranno -lo sappiamo- tutte coincidenti. E, a partire da queste, occorre definire i punti minimi che ci si impegna reciprocamente e davanti agli italiani a portare avanti, ad iniziare dalla modifica della legge elettorale ed a finire con i più urgenti provvedimenti economico-sociali.

Occorre cioè che gli italiani vengano messi in condizione di scegliere due cose:
La prima: se dare o meno la fiducia ad una coalizione che si proponga la sconfitta di questa destra e, oltre al riavvio di normali processi democratici, il governo dell’emergenza economica.
La seconda: di esprimere il proprio voto, all’interno di questa coalizione, iniziando ad orientarsi ed a scegliere sulle diverse prospettive per il futuro e per la soluzione definitiva delle arretratezze ed iniquità del Bel Paese. Cosa, quest’ultima, che diventa possibile solo se si avvia quel processo di chiarificazione di cui si è detto sopra, e se le diverse componenti dell’opposizione, pur presentandosi agli elettori in rapporto di coalizione, propongano le loro idee, i loro punti di vista, le loro facce, le loro liste.
In sostanza, stante l’attuale legge elettorale, con la quale si andrà prima o poi al voto, occorre che venga loro proposto lo schema di un bipolarismo aperto, plurale, e non bipartitico. Se l’arroccarsi dei centristi su una visione tripolare renderebbe impossibile la premessa di questo processo, l’immaginare una coalizione indistinta e catalizzata unicamente dall’antiberlusconismo, presumendo di non far emergere le differenze, in modo particolare sulle idee di società che si intende portare avanti, renderebbe impossibile agli italiani di prender parte ad un reale dibattito politico. Cosa della quale, invece, c’è un profondo bisogno, che i partiti, ed anche quelli della sinistra, non hanno da lungo tempo facilitato.

E credo anche che la convenienza elettorale debba indurre a ciò. Oggi siamo in presenza di un vastissimo astensionismo di sinistra: è lì, in termini numerici, la ragione prima della vittoria della destra. E’ più che fondato il sospetto che questo non possa essere recuperato sino a che il centrosinistra (e soprattutto il PD) proceda con il passo attuale, e sino a che le diverse forze del centro-sinistra non si presentino con le loro idee e con liste proprie. Non si deve dimenticare che il meccanismo della lista bloccata scoraggia l’elettore portatore di una propria concezione politica a votare per una lista nella quale la persona cui intenderebbe dare la propria fiducia, pur presente in quel collegio, non è in condizioni di eleggibilità.
E, se il principio, come giustamente è stato detto, è quello che “non un voto deve andar sprecato”, è allora necessario che il fronte delle opposizioni si presenti sì con un programma minimo unitario chiaro e condiviso, sul quale il leader della coalizione gioca tutto, ma al tempo stesso sappia presentare un’offerta politica chiaramente articolata e selezionabile dagli elettori.

L’esempio del CLN è pienamente calzante. Questo non si costituì come un generico ed indistinto fronte di antifascisti. L’impegno comune attorno al quale si sono raccolti i partiti del CLN, che poi affrontarono le elezioni per la Costituente, non impedì che questi fossero presenti con le loro idee, con le loro persone, con i loro programmi, nettamente diversi l’uno dall’altro, e non impedì che nel periodo intercorso tra l’autunno 1943 e l’estate 1945 questi non proseguissero la loro opera di elaborazione culturale e politica e di proselitismo.

(vedi anche: “Una tempesta nel pantano: http://www.spazioliblab.it/?p=2371, e “Quale Nuovo Ulivo” : http://www.spazioliblab.it/?p=2458)

Gim Cassano (Alleanza Lib-Lab), 04-10-2010.