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lunedì 23 novembre 2015

La democrazia che vorrei


Di Michelangelo La Rocca

A quasi tre anni dalla mancata vittoria del PD di Bersani alle ultime elezioni politiche, quello che una volta si usava chiamare “il popolo della sinistra” sembra ancora disorientato, incapace di reagire.
Appare come un pugile che, dopo lo shock per la mancata vittoria data per certa dai sondaggi, vorrebbe preparare la rivincita ma appare confusa e priva di un leader capace di farle conquistare un posto dignitoso sul contraddittorio scacchiere della politica italiana.
Speriamo che si tratti solo di una transeunte stagione politica e che prima o poi si sappia riorganizzare per costruire un futuro migliore, degno di un Paese più civile, moderno e veramente democratico.
Sarà difficile, quasi impossibile ma bisognerebbe almeno essere capaci di provarci.
Non facciamoci illusione, la situazione è difficile, al limite dell’impossibile.
Eppure se guardiamo la realtà economica e sociale allora si capisce come la reazione non potrà non esserci.
La reazione dovrà partire dai giovani, le vere vittime di un momento politico che rischia di rubare in modo irreversibile il loro futuro.
Se pensiamo al rischio di un grande conflitto mondiale, al disastroso stato ambientale del Pianeta, alla situazione economica, alle prospettive occupazionali è facile constatare come ce ne sia abbastanza da far tremare le vene ai polsi.
La povertà è una prospettiva certa per larghi strati della popolazione (in particolare quella meridionale), l’occupazione precaria rischia di diventare l’unico scenario occupazionale possibile per le nuove generazioni.
Se la situazione è questa, ed è questa, allora reagire diventa un imperativo categorico per tutti quelli che hanno a cuore le sorti del nostro derelitto Paese.
Chi scrive da quasi 40 anni ha a cuore le sorti della sinistra ed ha seguito, con un approccio unitario, sempre la componente maggioritaria di tutte le scissioni e le trasformazioni che hanno riguardato il vecchio, mai abbastanza rimpianto P.C.I.: ho votato prima P.D.S., poi D.S. ed, infine, P.D.
Ora anch’io ho perso la pazienza, forse pure il mitico Giobbe l’avrebbe persa!
Non mi appassiona il duello tra Renzi e Bersani, non mi interessa sapere cosa divida Fassina da Civati o la Camusso da Landini.
Mentre siamo ad un passo, se non oltre, dalla terza guerra mondiale, loro si punzecchiano a colpi di battute che a volte solo loro capiscono, ammesso che ci sia sempre qualcosa da capire.
Con questa classe dirigente non si va da nessuna parte: aveva ragione, duole ammetterlo, Nanni Moretti!
Ed allora occorre reagire in modo nuovo e diverso: c’è bisogno di nuove forme di democrazia, l’istituto della delega e della rappresentanza non funziona più!
La democrazia ha bisogno di nuove frontiere e la rete web può essere, dovrà essere lo strumento per l’affermazione di una nuova democrazia.
Le decisioni che riguardano tutti devono essere prese da tutti.
La democrazia diretta oggi è possibile: basta volerlo con la necessaria determinazione.
La partecipazione diretta è anche garanzia di contenuti programmatici socialmente avanzati ed eticamente accettabili: il malaffare si afferma quando a decidere sono oligarchie autoreferenziali che purtroppo ormai hanno perso il contatto con la società.
Solo così potremo essere veramente e finalmente fabbri del nostro destino.
Il movimento Cinque Stelle sembrava essersi incamminato verso qualche forma di democrazia diretta ma è rimasto rinchiuso dentro gli angusti confini di un blog ed è riuscito a coinvolgere un numero così ristretto di cittadini da non lasciare intravedere neanche alla lontana una qualche forma di democrazia diretta.
Almeno, però, i penta stellati hanno aperto la strada, ci hanno provato, ma bisogna andare oltre, molto oltre, non limitandosi ad un’opposizione fine a se stessa ed incapace di prefigurare una nuova, moderna ed efficace forza di governo.
La questione è troppo seria per lasciarla alle battute di un comico.
E questo compito spetta alla Sinistra, perché, dopo l’irreversibile deriva centrista del PD di Renzi, nel nostro Paese c’è un grande bisogno di sinistra, c’è un grande spazio politico da riempire.
Se così non dovesse essere ci aspetta un futuro da incubi o, ancora peggio, rischiamo di non avere alcun futuro!

domenica 22 novembre 2015

INQUINAMENTO: un grave problema da risolvere


L’ecologia è una scienza che cerca di individuare quel posto dell’uomo nella natura da cui, oggi, si va allontanando. Gli ecologi lanciano un serio allarme. Sostanze chimiche, perfino micidiali, inventate nei laboratori, circolano nel sistema arterioso delle nostre acque (mari, fiumi laghi) e si addensano nell'atmosfera. I parchi diventano preda della speculazione edilizia. Atmosfera, pinete, mari e fiumi sono i punti cruciali della crisi ecologica che coinvolge tutto il pianeta. Si sono trasformate le zone umide in grandi empori industriali e commerciali, in cloache urbane, sono stati condannati i fiumi delle grandi aree metropolitane. In questo modo assistiamo a un consumo sempre maggiore di ossigeno, assieme alla mancanza di spazi verdi.
Nel quadro del mondo industriale e produttore di rifiuti si inseriscono anche gli abusi edilizi. Questo modo malsano di procedere avviene in tutto il territorio italiano. Non esiste in tutto il nostro territorio un gruppo di coordinamento che sia efficiente. La funzione edilizia in Italia è svolta da mille rigagnoli ministeriali che non potranno mai dare organicità e uniformità ai loro interventi: per cui si continua a costruire in modo dissennato e squilibrato. Oltre a questo problema bisogna fare i conti anche con l’”industria” (si fa per dire) della spazzatura. Notiamo adesso nelle città informi ammassi di rifiuti: una buona parte di questi rimane lungo le rive dei fiumi, lungo le autostrade nei prati oppure (nella peggiore delle ipotesi) accatastati ai margini della città.
Come alternativa a questo schifo ci sono gli inceneritori e ciò che si brucia si trasforma in inquinamento atmosferico: infatti gli impianti di incenerimento nelle città, “regalano” ai cittadini vapori acidi a causa, soprattutto, delle materie plastiche che si trovano nella spazzatura.

Perché Greenpeace è contraria agli inceneritori?
Perché pongono un rischio sanitario - Molti degli inquinanti emessi come le diossine e i furani sono composti cancerogeni e altamente tossici. L’esposizione al cadmio può provocare patologie polmonari ed indurre tumori. Il mercurio, sotto forma di vapore, è dannoso al sistema nervoso centrale ed i suoi composti inorganici agiscono anche a basse concentrazioni.
Spero che gli uomini, avendo preso coscienza ed essendo consapevoli dell’importanza del rapporto individuo-natura, corrano immediatamente ai ripari per non perpetrare più questo scempio che arreca male e dolore all'ambiente e a tutti gli esseri viventi. Un bellissimo giardino si sta trasformando in una colossale discarica. Dovremo vergognarci di appartenere alla categoria degli umani.

domenica 15 novembre 2015

Chi sono gli aderenti all'ISIS?


Di Rosario Amico Roxas

Per combattere un nemico evanescente ma deciso, non bastano le parole roboanti e le minacce, che svaniscono nel nulla se non si conosce a fondo la natura più intima del nemico.
Identificare l’ISIS come “Stato islamico” e coinvolgere l’intero Islam nella identificazione terroristica, peggiora le condizioni di difesa favorendo la tecnica aggressiva che usa come paravento la religione islamica; l’Islam moderato dovrebbe essere l’alleato privilegiato per combattere tali estremismi.
Politici vuoti di ogni capacità critica, ma assillati dall’esigenza di compiacere un elettorato distratto che subisce gli effetti terroristici, proponendo l’identificazione globale Islam = terrorismo; improvvisati predicatori sanciscono tale rapporto e ne fanno un’arma in grado di convincere quel distratto popolo elettore che concede la propria fiducia a chi non è e non sarà mai in grado di gestirla.
Gente come Salvini, Berlusconi, Meloni, Santanchè, Gasparri, ispirati dall’apostata Magdi Allam, semina falsità con un propellente populistico, bisognerebbe proprio interdirli e impedire loro di parlare in pubblico, essendo estremamente perniciosi.
C’è poi un ministro degli interni che non si è mai chiesto: “Chi sono questi terroristi ?”; basta loro dire che si tratta di musulmani, indicando come nemici da abbattere un miliardo e mezzo di fedeli la cui stragrande maggioranza non ha nulla a che vedere con il fenomeno terrorista.
Conoscere il nemico da combattere diventa imperativo, perché si tratta di un nemico del quale si ignora tutto, tranne gli effetti disastrosi che sono in grado di promuovere.
L’ignoranza dell’Occidente è il loro migliore alleato , mentre tale ignoranza viene ammantata da una cultura spicciola, frutto di avvelenati corsi accelerati di odio, come accade con il suggerimento di portare nelle scuole gli scritti di Oriana Fallaci, che scrisse le sue invettive anti-Islam da un comodo attico sulla V Strada a New York , su incarico (ben retribuito) da parte della Casa Bianca, allora in mano a J.W. Bush.
Veniamo alla domanda che i responsabili dovrebbero porsi : “Chi sono gli aderenti all’ISIS ?”
Cominciamo con il dire che non si tratta di uno Stato Islamico e che non si tratta di gruppi isolati, occasionalmente uniti. Non si tratta di Stato Islamico perché non sono islamici e la loro Costituzione non è “Il Corano”in quanto sono ben lontani dal seguirne i precetti, come:
“Ad ogni comunità abbiamo indicato un culto da osservare. E non polemizzino con te in proposito ”Corano Sura XXII Al Hajj (Il Pellegrinaggio) 67-32)
Versetto che invita alla tolleranza dei riti delle altre comunità religiose.
Stante la loro collocazione geopolitica, possiamo dedurre che si tratta di Hashashin termine che fa riferimento ad una delle più antiche sette religiose sorte nel MedioEvo, come interpretazione distorta dell’Islam Coranico; dalla loro identificazione scaturisce il termine “Assassini”, perché dediti a omicidi efferati. Il termine significa “Consumatori di hashish”, droga devastante che si ottiene dalla canapa indiana.
Setta fondata dall’emiro Isma’il ibu Gia’ far, infatti la loro prima identificazione li chiama Isma’iliti, da non confondere con Ismaeliti che identifica tutto il mondo arabo-semita, discendente da Ismaele, figlio di Abramo e della schiava Agar.
Ciò che si ignora è la struttura interna di tale setta, che si tramanda dal tempo delle crociate; come ogni setta ha un capo assoluto, Djebal, o Gran Maestro, meglio conosciuto come “Il Veglio della Montagna” , con prerogative di Monarca assoluto; ruolo adesso ricoperto da Abu Bakr al-Baghdadi.
Come in ogni setta, anche in quella degli Isma’iliti esiste una gerarchia con a capo il Djebal, o Gran Maestro, meglio conosciuto come “Il Veglio della Montagna” e con prerogative di Monarca assoluto.
La setta nacque durante le Crociate e lo scopo era lo stesso degli Ordini dei Cavalieri occidentali: difendere il Santo Sepolcro. Dai Cristiani, però; lo scopo era lo stesso degli Ordini dei Cavalieri occidentali: difendere il Santo Sepolcro. Quindi la loro origine non è lontana dai capisaldi delle Sacre Scritture, con la venerazione di Abramo, la loro discendenza dal figlio di Abramo Ismaele, la difesa del Santo Sepolcro minacciato dalle crociate, con particolare riferimento all’ordine cavalleresco dei Teutonici dai quali appresero la gerarchia interna composta da Gran Maestro, Grande Priore, Priore, frate, scudiero, che in arabo diventa Djebal, Sheik, Daiikebir, dais.
Fu Federico II ad avere maggiori rapporti con gli Ismailiti, già diventati Hashashin, quando si decise a fare la Crociata che il Pontefice gli ordinava; mantenne con loro rapporti diplomatici e permise loro di praticare la loro religione a Gerusalemme, città della quale Federico si era proclamato imperatore.
La setta fu sempre selettiva nell’accettazione di nuovi adepti, che dovevano praticare la più assoluta dedizione al “Veglio”; i giovani, una volta entrati a farne parte, non era più possibile uscirne.
Gli storici hanno sempre condiviso l’idea che alla base della fedeltà al “Veglio”, ci fosse l’uso e l’abuso di sostanze come l’hashish, che schiavizza i seguaci, rendendoli sempre più dipendenti del Gran Maestro.
Il momento storico che li rese famosi è legato al sultano (Djebal), Aloylin, una figura inquietante, dispotica, sadica e crudele.
La storia ci dice che, per legare sempre più a sé i giovani adepti, egli ricorresse ad un espediente profondamente ingannevole. Li drogava con hashish e li faceva vivere per qualche giorno in un luogo di delizie ed incanti, serviti e riveriti da belle fanciulle pronte ad assecondarli in ogni richiesta. Passato l’effetto della droga, i giovani credevano davvero di essere stati in Paradiso, finendo in tal modo di cadere completamente in balia dell’infido Gran Maestro.
Annullata ogni loro volontà e personalità, i giovani adepti erano pronti ad eseguire qualunque ordine del Sultano, per tornare in quel “Paradiso”.
Perfino uccidere o uccidersi.
La tradizione conferma che il sultano (Djebal), per dimostrare ai suoi ospiti occidentali la fedeltà dei suoi guerrieri, offriva loro uno spettacolo agghiacciante: ordinava ad alcuni di loro di gettarsi giù dall’alto della fortezza e sfracellarsi sulle rocce sottostanti.
Ordine che i giovani eseguivano con grida di gioia, convinti di “tornare” in quel Paradiso che avevano conosciuto sotto l’effetto della droga .
Tale metodo si ripete anche oggi, perché solo drogati, svuotati di una propria volontà, possono accettare di sacrificarsi, uccidendo e suicidandosi.
Come per tutte le organizzazioni criminali, anche nel caso di questi terroristi si dovrebbe inseguire la via del denaro e della droga, degli scambi con denaro contro petrolio di contrabbando, acquistato da petrolieri senza scrupoli, nonché lo scambio tra droga e armi, gestito dalle mafie che lucrano sia con le armi che con i pani di droga ottenuti in cambio.


giovedì 22 ottobre 2015

L'antipolitica e scandali all' ITALIANA

di Michelangelo La Rocca

Un nuovo Paese popola il continente europeo, un Paese a forma di stivale situato nel sud del continente ed addormentato sulle tiepide acque del Mediterraneo che somiglia molto alla vecchia Italia, ma che non è l’Italia: piuttosto è ScandalITALIA!


A poco di vent’anni da tangentopoli la crisi morale attanaglia questo Paese quanto, e forse più, della gravissima crisi economica che rischia di portare un’intera nazione ad una drammatica bancarotta dagli incalcolabili esiti.


Tutto questo non succede per caso: le due crisi si intrecciano in modo inestricabile tra di loro così da essere l’una la premessa dell’altra e viceversa.


E’ certo, infatti, che una crisi etica della portata di quella che attraversa l’Italia e la consistente entità del fenomeno corruttivo che ne consegue hanno una valenza economica.


Fiumi di denaro pubblico vengono distratti dalla loro naturale destinazione creando buchi o vere e proprie voragini nei conti pubblici già disastrati e dissestati.


Ormai succede di tutto e di più: ingenti finanziamenti ai partiti distratti nelle più incredibili delle maniere, persino nell’acquisto di lauree falsi o di biancheria intima!


La sanità pubblica è nelle mani di bancarottieri senza scrupoli, noleggiatori di escort che non sanno svegliare le loro coscienze neanche davanti ai drammi di malattie gravi e devastanti.


Per non parlare, poi, del sistema bancario, impenetrabile custode dei segreti del malaffare, che ha fatto prevalere la perfida e corrotta finanza sulla sana economia dei produttori.

E’ di questi ultimi tempi lo scandalo di Mafia Capitale e di questi ultimissimi giorni lo scandalo Anas che ha suscitato lo stupore di magistrati esperti che ne hanno visto di tutti i colori: tant’è, la realtà supera ogni immaginazione, al peggio non c’è mai fine!
Addirittura una dirigente Anas si occupava solo e soltanto della gestione di bustarelle anche se nel carbonaro linguaggio emerso dalle intercettazioni poteva sembrare una raccoglitrice di ciliegie!

In Scandalitalia è successo di tutto, credo che nulla di più e di diverso possa ancora succedere, ma mai dire mai!


Come e perché è potuto succedere tutto questo?


Credo che davanti ad un Paese pieno di metastasi diffuse come quelle prima descritte non si possa parlare di un solo colpevole, ma di tanti, molti colpevoli.


E’ colpevole prima tutto la classe di governo incapace di riformarsi e di rinunciare, tanto più in un momento così drammatico, neanche ad una piccolissima parte degli odiosi privilegi di cui gode.


Nemmeno il preoccupante e dilagante fenomeno dei suicidi provocati dalla lacerante crisi economica li induce ad introdurre un qualche elemento di equità e di giustizia sociale.


Sono colpevoli, poi, i faccendieri di Stato che hanno lucrato ingentissime risorse dalle pubbliche finanze fino a portare il debito pubblico a vette “everestiane”, non correggibili neanche con le cure da cavallo di conio montiano e di quelli degli altri Governi succeduti a Monti.


Ci aspettano mesi da lacrime e sangue che, però, non potranno scalfire di un solo centesimo di euro l’enorme debito pubblico che ormai segue dinamiche perverse ed incorreggibili che, duole dirlo, solo il default potrà arrestare!


Siamo colpevoli, infine, anche noi, quelli che abbiamo sempre lavorato e pagato le tasse, perché abbiamo delegato la vita delle pubbliche istituzioni ad una classe politica abietta, incapace e corrotta.


Sto scivolando nell’antipolitica?


Ho sempre giurato a me stesso che sarei stato l’ultimo ad iscrivermi all’antipolitica e vorrei tenere fede a tale giuramento.


Ma qual è la politica? Dov’è la politica?


E’ negli scandali Anas? E’ nelle squallide storie di Mafia Capitale?


E’ nella miseria dello scandalo degli scontrini che ci ha mostrato una classe politica che percepisce indennità di tutto rispetto, vitalizi di rilevante entità e non riesce a pagare di tasca propria neanche una cena alla propria moglie?


Od ancora negli scandali della Sanità lombarda che si autoproclama sanità d’eccellenza?


Se questa è la politica, rompo gli indugi ed anch’io mi iscrivo all’antipolitica!


Forse, però, quella che, impropriamente e in modo propagandistico, viene chiamata “antipolitica” altro non è che sacrosanta reazione al potere bruto e brutale che si è manifestato negli ultimi decenni, è necessaria protesta contro gli odiosi privilegi della casta, è indispensabile contrasto alla cattiva politica degli ultimi anni.


Se l’” antipolitica” ci potrà aiutare ad avvicinarci alle istituzioni ed alla loro gestione, alla difesa del bene comune ed a rendere la vita dura ed impossibile alla politica del malaffare, allora ben venga anche l’” antipolitica”!


Ben venga, soprattutto, la partecipazione diretta dei cittadini alla gestione della cosa pubblica.


Solo superando la dicotomia tra eletti ed elettori, governanti e governati, amministratori ed amministrati e tra controllori e controllati si potrà uscire dal tunnel in cui ci siamo cacciati e vedere la luce della ripresa che prima che economica dovrà essere etica e politica!

Oggi c’è uno strumento in più che potrà agevolare l’avvento della democrazia diretta: il web, la grande rete mondiale!

Cogliamo questa opportunità, è la nostra, grande, irripetibile occasione: non sprechiamola, potremmo pentircene amaramente!



domenica 18 ottobre 2015

Un uomo onesto, un politico valido: ENRICO BERLINGUER



Di MICHELANGELO LA ROCCA

Sono passati più di 30 anni e sembra ieri, è trascorso più di un trentennio ed il suo pensiero e la sua lezione politica e morale sono più che mai vivi ed attuali.
Anzi, a distanza di così tanto tempo la sua mancanza si avverte sempre di più, il vuoto da lui lasciato sembra sempre più incolmabile.
La statuaria grandezza di Enrico sta tutto in questo dato: è come se il tempo si fosse fermato, più passa il tempo e più sembra essere ancora presente tra di noi.
La sua azione politica svolta in modo schivo, riservato e pudico ha lasciato il segno sia nella politica estera, sia in quella nazionale.
In politica estera si può dire che abbia precorso Gorbaciov ed abbia contribuito ad anticipare la caduta dell’Unione Sovietica, quello Stato che si professava comunista e che più di tutti e più di ogni cosa ha fatto male, molto male al comunismo.

Berlinguer lo comprese in tempo e per tempo prese le distanze da quel regime, ovviamente nei tempi e nei modi che allora gli erano consentiti.
Sembravano tempi lunghi, incerti, contraddittori e, forse, a volte lo erano, ma i suoi tempi scaturivano da un preoccupazione che teneva sempre presente: quella dell’unità del Partito.
Era costante in lui la preoccupazione di portare il partito, tutto il partito, su posizioni di sicura autonomia rispetto all’Unione sovietica, su percorsi democratici ed occidentali.

Se pensiamo in che stato si trova oggi il centro sinistra e la sinistra in tutte le sue componenti, si capisce come e quanto ci sia bisogno di unità e come la lezione di Enrico sia ancora attuale e come sia indispensabile che la classe dirigente della sinistra di oggi assimili e faccia propria una simile lezione se si vuole ridare dignità ad un’area tanto vasta e politicamente composita che aspetta di riconoscersi in un leadership seria, moderna ed unitaria, capace, cioè, di anteporre le sorti della sinistra e del Paese ai i meschini interessi di parte o personali.
Una necessità, questa, attuale ed urgente nel momento in cui nubi minacciose si addensano sui destini del nostro Paese, della nostra democrazia e della nostra libertà.
Purtroppo non ci sono segnali incoraggianti sul fatto che l’attuale classe dirigente del centro sinistra e della sinistra abbia capito ed assimilato la lucida ed esemplare lezione berlingueriana.
Anzi, non sono mancati dirigenti del PDS, prima, e del P.D., poi, che hanno avuto l’impudicizia di affermare che Craxi politicamente aveva sconfitto Berlinguer: bestemmia, grande bestemmia.
Non si confonde, non si può confondere la cronaca con la storia!
Se mai ce ne fosse bisogno le vicende misere e meschine della casta, prima, e della cricca, oggi, sono lì a confermare come Enrico avesse saputo guardare avanti individuando nella questione morale la questione delle questioni e come, invece, Craxi, vero precursore del berlusconismo, abbia posto le basi dell’attuale crisi etica, sociale e politica. Basta leggere qualche passo della famosa intervista a Eugenio Scalfari, pubblicata su “La Repubblica” il 28 luglio 1981 per capire come Berliguer abbai saputo guardare lontano: I partiti non fanno più politica. I partiti hanno degenerato e questa è l’origine dei malanni d’Italia. I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune […], sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un “boss” e dei “sotto-boss”. Credo che una rinascita della sinistra in tutte le sue varie componenti passa necessariamente da una rivisitazione e da una esplicita riabilitazione della vita, dell’opera e del pensiero politico di Enrico Berlinguer, autentico democratico, sincero amico dei lavoratori, innamorato della pulizia morale. Mi piace concludere questo mio ricordo della figura di Enrico Berlinguer con un aneddoto personale. Nel 1983, in occasione del mio matrimonio, mio padre venne a trovarmi in Piemonte ed andammo insieme a sentire un comizio che Enrico tenne in Piazza San Carlo a Torino in occasione delle elezioni politiche che si svolsero in quell’anno. Quella sera mio padre era felice, era come se avesse coronato il sogno della sua vita. Lui bracciante agricolo, comunista da sempre e per sempre, era felice come un cattolico che fa visita al Pontefice. In fondo il PCI per tanti militanti fu la loro Chiesa, il comunismo la loro fede, l’uguaglianza il loro paradiso.
L’anno dopo, purtroppo, a meno di un mese di distanza, morirono entrambi ed io divenni orfano due volte!




domenica 11 ottobre 2015

UNITÀ D'ITALIA - La storia siamo noi?

Di Michelangelo La Rocca

Quattro anni fa abbiamo celebrato il 150° anniversario dell’Unità d’Italia ma manca ancora un vero e proprio senso dello Stato e non manca solo e soltanto tra i cittadini, ma, cosa ancora più grave, manca anche nella classe dirigente sia politica, che burocratica.
Servire lo Stato è un’espressione caduta in disuso, è più facile imbattersi in coloro che si servono dello Stato.
Lo “Stato siamo noi” non lo dice più nessuno e si può anche capire perché.
Rari, anche se non rarissimi, sono i servitori dello Stato che hanno fatto la Storia di questo Paese.
In prima fila le vittime della mafia, ovviamente, che hanno dato senza esitare la propria vita per cercare di estirpare il cancro della mafia dal derelitto corpo del nostro Meridione e della nostra Sicilia in particolare.
Giudici (come Giovanni Falcone, Rosario Livatino, Paolo Borsellino e tanti altri), poliziotti (come Ninni Cassarà, Beppe Montana e tanti altri), Prefetti (Dalla Chiesa su tutti), politici (a cominciare da Pio La Torre e Piersanti Mattarella), preti (come Don Pino Puglisi) ed altri, tantissimi altri.
Un posto di assoluto rilievo tra gli eroi moderni spetta a Giorgio Ambrosoli, l'eroe borghese che non ebbe paura di morire per difendere lo Stato dall’assalto mafioso e ci è toccato sentir dire da statisti, sicuramente di bassa statura, che in fondo la morte Giorgio Ambrosoli se l’era cercata!
Poi ci sono i luminoso esempi di coloro che servendo Dio servono anche lo Stato: su tutti Don Puglisi tra coloro che hanno dovuto sacrificare la vita, Don Ciotti tra i viventi.
Più lungo è, purtroppo, l’elenco di chi dello Stato si serve fino ad approfittarne in modo spudorato e smisurato.
La stagione di tangentopoli, che sembra essersi consumata invano, ci ha detto quanto e come sia diffuso il malcostume della corruzione ed è di questi giorni la notizia che secondo la Corte dei Conti la corruzione è aumentata del 30%.
Quadro allarmante, molto allarmante.
Questo non ci deve far pensare che i funzionari pubblici onesti non esistano.
Esistono, sono tanti, tantissimi e, sicuramente, anche più numerosi dei funzionari disonesti.
C’è da dire, però, che hanno una vita dura, durissima e negli ultimi anni i loro problemi, le loro difficoltà sono cresciute a dismisura.
Il loro cammino può essere equiparato, senza esagerare, alla marcia di un auto contro mano in autostrada o al procedere di una barca nei boschi.
E sarà sempre peggio essendo facile constatare come tra la prima e la seconda repubblica la situazione si sia notevolmente aggravata.
Io appartengo alla generazione di quelli che sono vissuti nel terrore di morire democristiani, ma oggi non ho difficoltà ad ammettere che il morire democristiani, se paragonato al rischio di morire berlusconiani o renziani, sarebbe stato un dolce morire!
Durante la prima repubblica i funzionari onesti ed indipendenti magari non riuscivano a fare una grande carriera, ma venivano rispettati o quanto meno tollerati.
Oggi, invece, il funzionario onesto ed indipendente viene visto come un ostacolo da rimuovere, un male pernicioso da estirpare.
Gli italiani, poi, da buoni e bravi cattolici perdonano tutto: i corrotti, i malversatori, e, persino, coloro che sfruttano la prostituzione minorile; questi ultimi, anzi, trovano sempre un cardinale disposto e disponibile a “contestualizzare” il loro peccato!
Ma c’è una cosa che gli italiani non sono disposti, né disponibili a perdonare mai: l’onestà!
C’è anche una questione di regole!
Ormai anche in Italia si fa sempre più ricorso all’istituto dello “spoil system” che mette la sorte dei pubblici funzionari nelle mani del potere politico che li può rimuovere, promuovere o spostare in modo completamente discrezionale; una discrezionalità senza regole che confina con l’abuso e, spesso, sconfina nell’arbitrio. E questo avviene in contrasto con la nostra carta costituzionale che in modo solenne prevede che “I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione”.
Ed appare evidente che una carriera affidata alla totale discrezionalità della sfera politica non garantisce imparzialità, trasparenza e buon andamento.
Una burocrazia indipendente e selezionata in base al merito sarebbe garanzia di indipendenza, terzietà e sarebbe veramente capace di garantire la democratica alternanza del potere politico. Oggi un pubblico funzionario che vuole essere indipendente, imparziale ed onesto deve essere capace di professare l’eroismo e non tutti ne sono capaci e non sarebbe neanche giusto pretenderlo.
Giova ricordare come già Bertolt Brecht avvertisse che è beato quel popolo che non ha bisogno di eroi
E da questo punto di vista (ed anche da altri) si può certo dire che il popolo italiano sia tutt’altro che beato!

giovedì 24 settembre 2015

E pur (non) si muove

Di Michelangelo La Rocca

Sono appena ritornato dalla mia breve vacanza in Sicilia e, come ogni anno quando ritorno dall’Isola natia, il mio pensiero corre alla magistrale imitazione di Romano Prodi fatta dal geniale Corrado Guzzanti: il Prodi che non si muove, che sta fermo come un semaforo!

Anche la Sicilia mi appare immobile nel tempo, sempre uguale e con nessuna voglia di cambiare.

Ero sotto l’ombrellone nella magica baia di Tindari, davanti allo splendido e magnifico scenario delle isole Eolie, e pensavo allo strano destino di questa terra sventurata, così bella, così splendida eppure affidata a mani a tanto maldestre e sciagurate.

Queste riflessioni vengono in mente pensando al contrasto tra l’incommensurabile valore storico, artistico ed ambientale di questa Terra ed il disvalore assoluto della classe di dirigente chiamata a governare tale patrimonio.

Da un parte la Valle dei Templi, Segesta, Selinunte, Ortigia, Erice, San Vito lo Capo, Monreale, Lampedusa, Pantelleria, Ibla, Noto ed il resto, tutto l’incredibile resto.

Dall’altra Crocetta, Tutino, Faraone ed il resto, tutto l’assurdo resto.

C’è da restare allibiti davanti all’ ineffabile cinismo con cui il destino ha potuto, saputo e voluto mettere insieme due simili realtà.

Ma tant’è, questo ci tocca!

Ho provato in questi pochi giorni a seguire le dinamiche politiche siciliane e non sono riuscito a capirci nulla, al confronto l’italico trasformismo appare lineare e trasparente!

La questione Crocetta- Borsellino appare inconcepibile, pirandelliana.

Eppure Crocetta si era presentato come uomo del cambiamento, aveva acceso tante illusioni. Ricordo ancora ora che studenti siciliani partirono da Torino per andare a votare per lui con la speranza di contribuire in tal modo all’arrivo di una Primavera siciliana.

Tanto grande era stata illusione, quanto grandissima è ora la delusione. Nulla di quello che si era sperato si sta realizzando. Persino quella che sembrava una vera e convinta vocazione antimafia dell’attuale Presidente Crocetta sfuma davanti ad incredibili dubbi che speriamo vengano al più presto chiariti.

Davanti ad una siffatta situazione la ragione si arrende, l’intelligenza si ritrae, non riesce a capire, si rifiuta di capire!

La disgraziata Isola appare in ginocchio e chi dovrebbe aiutarla ad alzarsi la spinge ancora di più verso terra.

Le immagini viste sulla raccolta rifiuti a Palermo non sono dissimili da quelle di Napoli, con la differenza che di Napoli si parla, l’opinione pubblica nazionale è informata, di Palermo no!

La raccolta differenziata a Palermo e Catania raggiunge percentuali dimezzate rispetto a Napoli che, come è noto, non rappresenta certo un modello virtuoso!

Che dire poi della situazione ferroviaria e viaria? Meglio non parlarne, parlano in modo inequivoco i viadotti ed i ponti crollati!

Solo per dare un’idea della situazione basta questo dato: in treno per percorrere una distanza di poco superiore a 300 Km ho impiegato quasi sei ore ed ho preso due treni ed un pulman sostitutivo!

C’è un futuro per la Sicilia? C’è un futuro per i Siciliani?

In questo momento è difficile pensarlo ed è quasi impossibile essere ottimisti.

Una cosa, però, è certa: con l’attuale classe dirigente sicuramente no!

Ed il guaio peggiore è che all’orizzonte, neanche in lontananza, si intravede una nuova classe dirigente capace di scalzarla per prendere il suo posto.

A Napoli dicono che “ha da passà a nuttata”, in Sicilia la nottata appare lunga, lunghissima, sembra scura, scurissima e non si intravede l’alba, nessuna alba: ma c’è qualcuno che almeno la cerca?


venerdì 3 luglio 2015

Pangermanesimo finanziario. Angela Merkel e la crisi greca




La crisi greca viene analizzata seguendo il punto di vista dell’Occidente, capitanato dalla Germania della Merkel; non c’è alcuna analisi storica alla ricerca delle motivazioni che hanno portato la Grecia sull’orlo del fallimento. Sentire, adesso, i commenti del pregiudicato Berlusconi, fa rabbia, perché in tali commenti accusa l’attuale governo greco di essere il rappresentante del peggior comunismo anti-capitalista; tacendo che proprio il capitalismo è stato il vettore principale dello sfascio greco.

Fu un governo capitalista che abolì le tasse agli armatori, in un mercato che vale 12 miliardi di euro, quindi da quattro a cinque miliardi di tasse non corrisposte. Per colmo di ipocrisia, gli armatori hanno proposto un aumento delle tasse, ma per un valore massimo compressivo di 105 milioni l’anno e per una durata massimo fino al 2017, quindi un totale di 400 milioni a fronte di 4/5 miliardi l’anno.

Il capitalismo, per affermarsi, necessita di un sistema democratico, per passare poi ad uno Stato autoritario, quando ha agguantato le redini del potere. Così è accaduto in Grecia, dove governi compiacenti hanno favorito in tutti i modi le classi più opulente a discapito delle fasce più deboli e dei posti di lavoro.

E’ accauto in Grecia quello che accadrà in Italia se dovesse ancora esistere il liberismo berlusconiano che Renzi sembra avere adottato come linea di principio.

Sono i pesi e le misure diverse che il capitalismo esegue a tutela del capitalismo che diventa liberismo e si dedica alla finanza creativa che genera denaro con l’utilizzo senza scrupoli di altr4o denaro, senza dover ricorrere alla produzione, al lavoro, al mercato, allo sviluppo e al progresso.

Così sta avvenendo anche con la Germania che nel secolo scorso dichiarò guerra al resto d’Europa per ben due volte, provocando decine di milioni di morti e l’olocausto del mondo ebraico, che, a sua volta ha operato la degenerazione sionista.

Malgrado due guerre perdute la Germania ha potuto godere di vantaggi e privilegi a danno delle altre nazioni.

Nel 1928 avvenne però anche una ricontrattazione del debito, verso le nazioni danneggiate, con la riduzione delle quote da pagare e un enorme allungamento dei tempi di restituzione a 60 anni! (Piano Young).

Nel 1933. Dopo aver vinto le elezioni, i nazisti smisero di pagare i debiti e le riparazioni dovute. Negli anni successivi cominciarono ad invadere i loro vicini, non dimenticando mai, appena arrivati, di svuotare le casseforti degli altri.

Nel 1953, dopo la Seconda guerra mondiale, la Germania ha nuovamente battuto cassa per non pagare il suo debito. Il 27 febbraio 1953, la conferenza di Londra, ha infatti deciso l’annullamento di circa i due terzi del debito tedesco (62,6%). Il debito di prima della guerra è stato ridotto da 22,6 a 7,5 miliardidi marchi e il debito del dopoguerra è stato ridotto da 16,2 a 7 miliardi di marchi. Oltre al taglio del debito la Germania ottenne anche un forte dilazionamento: oltre 30 anni di tempo per pagare la quota di debito rimanente. L’accordo è stato firmato dalla repubblica federale tedesca con 22 Paesi, tra cui la Grecia.

Ora la Merkel fa la voce grossa, per non scontare le tragedie che la Germania ha provocato all’Europa e al mondo intero.

La Merkel avrebbe il dovere morale di pagare il debito tedesco alla Grecia e non più imporre quello spread a vantaggio tedesco, che penalizza tutte le nazioni.

Si tratta di un nuovo pangermanesimo ossessivo ed elitario, che supera i danni provocati dalle due guerre volute dalla Germania, dichiarando all’Europa una terza guerra mondiale, modificando l’armamento; non più armi da fuoco bensì armamenti finanziari.



Vedi: Grexit: i governi tedeschi non hanno mai pagato i loro debiti

http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/06/29/grexit-i-governi-tedeschi-non-hanno-mai-pagato-i-loro-debiti/1824300/



Mi chiedo: Chi mai potrebbe impedire alla Grecia, una volta uscita dall'euro e dall'UE, di uscire anche dal Patto Atlantico e dall'alleanza Atlantica ?
Intorno alla Grecia ci sono circa 6.000 isole,, di cui solo 230 abitate e abitabili; se la Grecia volesse risolvere i suoi problemi economici, basterebbe vendere una cinquantina di isole ad una potenza straniera, che le annetterebbe al proprio territorio (come fecero gli USA con l'Alaska.
L'Europa si ritroverebbe ad avere una base navale nel cuore del Mediterraneo, al di fuori del circuito europeo e Occidentale.
La Grecia passerebbe da uno stato di indigenza ad una realtà di opulenza, il tutto grazie alla pretesa intransigenza della Merkel, che ha voluto scatenare la terza guerra mondiale, anche se, stavolta, con le armi della finanza, dopo i due precedenti fallimenti del secolo scorso.
Gli acquirenti non mancherebbero, anzi, credo che 'affare prenderà le forme di un'asta al rialzo !

Rosario Amico Roxas
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sabato 28 febbraio 2015

Lo scontro tra il Bene e il Male

Siamo sicuri di aver identificato tutto il Bene e tutto il Male e trovata la loro collocazione ?

L’incontro fra nazioni è diventato, ancora una volta, scontro fra culture; è sempre stato così.


Periodicamente l’uomo cede alla tentazione di sopprimere una fetta dell’umanità. Appare superfluo ricordare tutte le volte che è accaduto, tutta la storia che ci viene tramandata è un continuo ripetersi di quella tentazione. E’ la negazione dell’umanità, la guerra come rito selettivo, come normativa assurda, che rivela quell’intimo e ferino desiderio di sopprimere una parte della stessa umanità alla quale apparteniamo.

“Se questo è un uomo” di Primo Levi ha documentato con straziante realismo il cedimento a quella tentazione, che si concluse con lo sterminio degli ebrei europei, motivato dalla presunta difesa di una razza che si riteneva superiore, uno sterminio programmato da un popolo occidentale, proprio quello che riteneva la propria cultura superiore alle altre, e oggi, particolarmente, alla cultura orientale o arabo-musulmana.
Questa tentazione si fa sostenere dalla propaganda, che fagocita ogni episodio e lo reinterpreta a proprio uso e consumo. Con la propaganda si cerca di reclutare il maggior numero di persone alla causa che si sostiene; lo scopo è quello di suscitare sentimenti estremi, come quello di identificarsi con il Bene che lotta contro il Male, la vita contro la morte, la cultura contro la barbarie.

In questo tipo di propaganda di se stessi si perde anche il senso della misura e si acquisisce anche un tono epico, oltreché apocalittico, al punto di suggerire l’impressione che chi dichiara di assimilarsi al Bene per lottare contro il Male, sia, in realtà, patologicamente compromesso a livello di equilibrio mentale.

Il senso del collettivismo planetario annega nella logica di supremazia che un microgruppo vuole affermare su un altro, per dilatarsi, poi, in uno scontro fra macrogruppi.

Lo sviluppo dell’antropologia culturale ha compiuto uno sforzo controcorrente, perché ha cercato di dimostrare che tutti coloro che non fanno parte del nostro microgruppo sono pur sempre portatori di una civiltà, sono in grado di costituire una società vera e propria; sarebbe il relativismo che con il Sommo Pontefice Ratzinger venne combattuto strenuamente alla luce di presunte radici cristiane dell’Europa che avrebbero elevato il mondo occidentale al di sopra di tutti gli altri macrogruppi

Anche l’incontro degli antropologi con tribù primitive è stato interpretato come un incontro con altri uomini, con altre culture, non peggiori e non migliori di noi, semplicemente “altro”. Si tratta di relativismo antropologico, che non è metodologia di studio, ma serve a ribadire che nessuno può affermare la superiorità di una cultura su un’altra.

Confondere la cultura con la tecnologia, l’evoluzione culturale con lo sviluppo della tecnica, vuol dire, semplicemente, negare la supremazia della tecnica rispetto alla centralità dell’uomo e di tutti gli uomini. Indistintamente.

Una cultura, un gruppo non è l’umanità; le nazioni, le alleanze, le sudditanze politico-economiche formano un megagruppo con un’analoga cultura, ma anche i microgruppi hanno la loro cultura, ricordiamo Pasolini con la “cultura di quartiere”, ricordiamo Olivetti e Ottieri con la “cultura d’azienda”.

La differenza tra micro e macrogruppo, quello che pretende di fare la storia del mondo, sta nel fatto che il secondo è condizionato da due spinte:



· la volontà di egemonizzare il mondo, senza essere contaminato da nessun altro gruppo

· l’angoscia, che arriva alla paranoia, di essere distrutto da un altro macrogruppo.



Ogni macrogruppo ha bisogno della sua cultura, come elemento di coesione e di rafforzamento, perché, nel caso di una guerra (le guerre sono la costante del macrogruppo dominante), la comunità culturale viene esaltata fino alla sacralizzazione. Si fa riferimento ad una religione contro un’altra, ad una visione del mondo contro un’altra, ad un’impostazione dell’economia contro un’altra, ad una visione globale dell’esistenza contro un’altra. E’ quanto oggi stiamo registrando dal vivo: le guerre come guerre di culture, anche se necessita sublimarle in nome della civiltà. La cultura diventa una maschera pretestuosa incapace di meditare sul mito della Torre di Babele, quando la pluralità delle lingue rappresentò la molteplicità delle culture, che avrebbero reso vana la scalata verso il cielo, nell’illusoria volontà di imporre il dominio universale.

Le lingue, come le culture, non sono un’invenzione degli uomini, fissate una volta per sempre; lingue e culture sono il frutto di un evolversi nel tempo e di innesti che attecchiscono sul corpo principale; la cultura siciliana ne è un chiaro esempio, frutto dell’innesto di tutte le culture mediterranee..

Oggi possiamo affermare che l’Occidente vive la sua “cultura del petrolio”, che è ben diversa dal confronto diretto tra Occidente e Oriente, che si vuol far passare per confronto/scontro di due diverse forze spirituali. Viviamo, nell’opulento Occidente, una qualità della vita superiore alle nostre possibilità, ma non possiamo più tornare indietro, la “civiltà del petrolio” ci fa assistere ad uno scontro tra culture, che facilmente potrebbe essere ristretto allo scontro tra singoli belligeranti, due persone, due famiglie, due macrogruppi che vivono e si combattono per accaparrarsi quella materia prima che condiziona la nostra vita.

Altro che scontro tra il Bene e il Male, in tale apocalittico scontro Bene e Male si confondono, perché il gruppo che vorrebbe rappresentare il Bene deve adeguarsi ai mezzi usati dal gruppo che rappresenta Male, per non soccombere, e, quando uno dei due vince, non si riesce a capire se ha vinto il Bene o ha vinto il Male, perché entrambi sono diventati rappresentazione del Male, così “ha ragione” il vincitore, chiunque sia dei due.

Il mito della Torre di Babele trionfa, nessuno ha voluto esercitare la parola per dirimere le controversie; ognuno parla solamente il proprio linguaggio, per non capire e non farsi capire dall’altro, non comprendendo, entrambe le parti, che la guerra ha come suo fine ultimo quello di distruggere le culture, per rinnovarsi, anche tornando indietro nel tempo.

L’accelerazione della storia ha trasformato lo scontro tra microgruppi in scontro tra macrogruppi e, quindi, in scontro di due culture, che la guerra annienterà, entrambe.

E’ questo il senso dell’Apocalisse che giorno dopo giorno stiamo preparando, ciechi e sordi anche di fronte alla evidenza delle stragi, che lavano il sangue con fiumi di altro sangue.


Rosario Amico Roxas