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sabato 12 novembre 2016

Vince Trump ma perde il welfare.

Di Rosario Amico Roxas
L’idea che ha lanciato Trump e lo ha fatto vincere a queste anomale presidenziali, era rivolta agli americani che lavorano e producono, alla piccola e media borghesia abituata ad avere molto più di quanto necessita per vivere decorosamente. La propaganda aggressiva di Trump mirava ad incoraggiare i renitenti a qualunque sacrificio, e mal disposti a sostenere il Welfare a costo di sacrificare qualcosina del proprio orticello. Sono in molti che hanno dimenticato le loro origini, provenienti da famiglie emigrate e inserite nel “sogno americano”, queste dimenticanze si esaltano nell’egoismo di genere, non di classe.

Temono la violenza che imperversa e pensano di combatterla con una violenza maggiore, favorendo il “fai da te”, armandosi come se le città, le strade, le scuole, le chiese, gli uffici, i supermercati, i grandi magazzini, non fossero altro che una prima linea la cui difesa è affidata a chi estrae la pistola per primo, vecchio retaggio di un nostalgico Far West, terra di cacciatori di taglie, di sceriffi plenipotenziari, e di eroi inventati chiamati ed esaltati a difendere i soprusi con i quali, solo il secolo scorso, vennero sterminati gli “indiani” d’America, che rappresentarono e rappresentano ancora oggi, il primo grande olocausto della storia moderna. I figli e i nipoti (a volte anche pronipoti !) che varcarono gli oceani alla ricerca di una vita vivibile, hanno votato Trump che promette loro di bloccare le immigrazioni, costruendo muri e colpendo indiscriminatamente tutti quelli che una legge non scritta identifica come abusivi; di sbarrare la medesima strada percorsa dai loro padri, in fuga dalla miseria.

Nel Gotha dell’economia americana non ci sono (se non in casi rarissimi) indiani d’America, come non ci sono afro-americani di colore; ci sono i plutocrati eredi delle grandi ruberie, delle stragi dei bisonti, del consumo di petrolio; si tratta di quegli stessi plutocrati che tengono in piedi le lobby delle armi, dell’energia, dei prodotti di largo consumo; si tratta di quella modestissima percentuale di americani, che non supera il 5/6 % dell’intera popolazione, che possiede il 60% dell’intera ricchezza nazionale; sono i medesimi che incoraggiano il dominio della violenza esercitata dal Ku Klux Klan (acronimo: KKK), certi di una impunità garantita dalla mentalità radicalmente razzista.

Provenendo dall’alleata America, una simile mentalità rischia di contagiare tutto l’Occidente e se ne vedono i primi bagliori nei commenti di piccolissimi personaggi, gonfi come un’otre, del livello di Matteo Salvini & C.

lunedì 26 settembre 2016

Sandro Pertini: un partigiano come Presidente.

di Michelangelo La Rocca


Sandro Pertini nacque il 25/9/1896 ed oggi si celebra il 120° anniversario della sua nascita a Stella, un piccolo comune della provincia di Savona.

Credo che non sia retorico affermare che Sandro Pertini sia stato il Presidente della Repubblica più amato da tutti gli italiani e penso che questa particolare “onorificenza” se la sia conquistata per la schiettezza, per il rapporto leale e diretto che seppe intrattenere con i suoi concittadini.
Da giovane s’innamorò subito della libertà e fu un amore adamantino e come i diamanti più autentici durò per sempre.

Il fuoco della libertà che ardeva dentro la sua anima lo portò ad impegnarsi già durante la prima guerra mondiale combattendo sull’Isonzo. Ed in quell’occasione per i tanti meriti conseguiti sul campo nel 1917 gli fu conferita una onorificenza militare.

Fiero antifascista, convinto socialista, durante il regime fascista subì diverse condanne (dalla reclusione al confino e fino alla condanna a morte che per fortuna sua e nostra non fu mai eseguita).

Tutte queste condanne non gli impedirono di diventare un protagonista della resistenza italiana e nell'aprile 1945 partecipò agli eventi che portarono alla liberazione dal nazifascismo, organizzando l'insurrezione di Milano e votando il decreto che condannò a morte Mussolini e altri gerarchi fascisti.


Con il ritorno in Italia della libertà e della democrazia divenne, da socialista, un protagonista di primo piano della prima Repubblica: fu eletto deputato all'Assemblea Costituente per i socialisti, quindi senatore nella prima legislatura e deputato in quelle successive, sempre rieletto dal 1953 al 1976. Ricoprì per due legislature consecutive, dal 1968 al 1976, la carica di Presidente della Camera dei deputati, infine fu eletto Presidente della Repubblica Italiana l'8 luglio 1978.


Del Pertini politico si sa tutto, le sue biografie parlano chiaro e tutti i suoi biografi concordano nel sottolineare la sua lealtà, il suo coraggio, la sua schiettezza, la sua totale sintonia con gli italiani, la freschezza giovanile del suo pensiero anche quando la sua carta d’identità registrava una certo numero di anni e lui stesso, non senza una punta di civetteria, non esitava a definirsi giovane di spirito.
Nel ricordare il 120° anniversario della sua nascita non vogliamo, però, soffermarci sul Pertini grande ed importante uomo politico della Prima repubblica, ma vogliamo sottolineare i connotati, le sfumature dell’uomo Pertini, alcuni lati del suo carattere, burbero ed attraente nel contempo.

E per fare ciò ci piace ricordare il Pertini indignato in occasione del terremoto in Irpinia nel 1980, il Pertini trepidante nel giugno del 1981 per la sorte del povero Alfredo Rampi, detto Alfredino, caduto in un pozzo di Vermicino ed il Pertini primo tifoso dell’Italia campione del mondo nel 1982.

Il 23 novembre 1980 un terremoto di magnitudo 6,9 colpì la Campania centrale e la Basilicata centro-settentrionale: fu una strage. Alla fine il bilancio fu di 2.914 morti, 8.848 feriti e circa 280.000 sfollati. L'allora presidente della Repubblica, Sandro Pertini, il 25 novembre, nonostante il parere contrario del presidente del Consiglio Forlani e altri ministri e consiglieri, si recò in elicottero sui luoghi della tragedia. Di ritorno dall'Irpinia, in un discorso in televisione rivolto agli italiani, Pertini denunciò con forza il ritardo e le inadempienze dei soccorsi, che sarebbero arrivati in tutte le zone colpite solo dopo cinque giorni. Le dure parole del presidente della Repubblica causarono l'immediata rimozione del prefetto di Avellino Attilio Lobefalo, e le dimissioni (in seguito respinte) del Ministro dell'interno Virginio Rognoni. Il discorso di Pertini ebbe come ulteriore effetto quello di mobilitare un gran numero di volontari che furono di grande aiuto in particolare durante la prima settimana dal sisma.

Ho riascoltato l’audio del suo intervento e la sua indignazione morale per i ritardi nei soccorsi vibra alta e forte ed è per questo che riuscì a scuotere le coscienze e non poteva essere altrimenti: solo un uomo, un grande uomo come Sandro Pertini, con la sua dirittura morale poteva riuscire in ciò che nessuno, né prima, né dopo di lui, è riuscito a fare: far vergognare i disonesti, i corrotti!
L'incidente di Vermicino fu un caso di cronaca italiana del 1981, in cui perse la vita Alfredo Rampi detto Alfredino (nato a Roma l'11 aprile 1975), caduto in un pozzo artesiano in via Sant'Ireneo, in località Selvotta, una piccola frazione di campagna vicino a Frascati, situata lungo la via di Vermicino, che collega Roma sud a Frascati nord. Dopo quasi tre giorni di tentativi falliti di salvataggio, Alfredino morì dentro il pozzo, ad una profondità di 60 metri.

La vicenda ebbe grande risalto sulla stampa e nell'opinione pubblica italiana, tramite la diretta televisiva della RAI durante le ultime 18 ore del caso.

Quella tragedia scosse l’Italia, milioni di telespettatori seguirono quella drammatica vicenda e Sandro Pertini, interpretò al meglio il sentire degli italiani e si recò sul proposto seguendo con sofferta trepidazione il dramma di Alfredino, con un’umanità semplice e sincera, come un padre o un nonno che segue il dramma che coinvolge il proprio figlio od il proprio nipote.

Come tutti ricordiamo l’Italia intera, anche quella non appassionata di calcio, si strinse attorno agli azzurri che, a sorpresa, vinsero il mondiale di calcio battendo i campioni del Brasile e dell’Argentina, prima, della Germania, poi, nell’indimenticabile finale di Madrid.

Dal punto di vista tecnico fu il mondiale di Paolo Rossi, il Plabito nazionale, che con i suoi goals divenne capo cannoniere del mondiale spagnolo e contribuì in modo determinate a sconfiggere i più blasonati campioni del Brasile, dell’Argentina e della Germania.

Fu il mondiale del famosissimo urlo di Tardelli, autore di uno dei tre goals con i quali l’Italia batté la Germania in un’indimenticabile finale vinta dagli azzurri per 3-1.

Ma fu anche, se non soprattutto, il mondiale di Sandro Pertini che, nonostante non avesse mai seguito il calcio, fu il primo tifoso dell’Italia.

Fu l’occasione ed il modo per entrare in completa e totale sintonia con il suo popolo, con gli italiani che furono mai come in quei giorni uniti attorno alla loro Nazionale salita ai vertici del calcio mondiale. Fu tripudio di popolo, di nazione e Pertini, da Presidente, ne fu il più genuino e solare interprete.

Chi non ricorda le sue manifestazione di giubilo, schietto e sincero, accanto a Juan Carlos, il Re di Spagna che faceva gli onori di casa?
Indimenticabili sono anche le immagini della sua partita a scopone sull’aereo che ha riportato gli azzurri campioni del mondo in Italia.

È stata la partita di scopone più famosa della storia azzurra: il presidente Pertini in coppia con Zoff contro il duo Causio-Bearzot. Scena epica, di ritorno dal Mondiale vinto in Spagna nel 1982. Sfida accanita giocata in aereo, vinta da Causio e Bearzot con Pertini che si infuria con Zoff.

Dino Zoff, qualche anno dopo, solo qualche anno dopo, ammise che l’errore che aveva portato alla loro sconfitta era stato commesso dal Presidente.
In quel mondiale Sandro Pertini fu un vero tredicesimo uomo in campo, un vero capitano non giocatore ed anche lui, a suo modo, diventò un campione del mondo per la sua capacità, più unica che rara, di sapere entrare in perfetta sintonia con i suoi concittadini, con quel suo popolo in quel momento tifoso della sua Nazionale sorprendentemente salita nell’Olimpo del calcio mondiale.

Concludendo questo breve ricordo di Sandro Pertini in occasione del 120°anniversario della sua nascita per cogliere l’essenza più profonda ci sono alcune parole ed alcuni aggettivi che ricorrono sempre quasi a fotografare il suo dna umano e politico: socialista appassionato, partigiano coraggioso, antifascista coerente, politico solare, uomo onesto e trasparente!

Questo è stato Sandro Pertini, il partigiano come Presidente, il più amato dagli italiani!



domenica 21 agosto 2016

Il futuro del turismo in Sicilia

di Michelangelo La Rocca
 

Sembra che la crisi internazionale causata dall’imperversare del terrorismo jihadista possa rilanciare il ruolo turistico della Sicilia, la bellissima e grande isola al centro del mediterraneo, ponte ideale tra l’Europa ed il Continente Nero.
Par di capire, infatti, che tantissimi turisti che hanno grandi remore e fortissimi timori a passare le vacanze in alcuni paesi del Nord Africa guardino con un certo interesse all’isola siciliana: è singolare come a volte da contingenze estremamente negative possono nascere delle grandi opportunità!
Alcuni dati della corrente stagione turistica sembrano dare credito a questa incoraggiante ipotesi, d’altra parte c’è da dire che la Sicilia ha (meglio avrebbe) tutte le carte in regola per diventare la perla turistica del Mediterraneo.
Le ha prima di tutto per la sua millenaria storia, poche terre possono vantare l’alternarsi nei secoli di tantissime civiltà diverse (dai Sicani agli Elimi, dai Siculi ai Fenici, dai Greci ai Romani, dai Bizantini agli Arabi, dai Normanni agli Spagnoli) delle quali ancora oggi si possono ammirare ricchissime testimonianze.
Le ha per la strategica posizione che la porta ad essere il ponte tra il Continente Europeo e quello Africano e tra la civiltà Occidentale e quella Orientale.
Le ha per la sua arte, la sua cultura, la sua archeologia, i suoi paesaggi, il suo mare, le sue isole, i sui vulcani (l’Etna soprattutto), il suo sole.

Quante Regioni in Italia o altrove possono vantare città ricche di arte come Palermo, Catania, Agrigento, Siracusa e Ragusa per limitarci a citare le più importanti?

Che dire della perla dello Ionio, la splendida Taormina, un vero mito internazionale con il suo Teatro Antico, la sua magica posizione dalla quale domina il suo bellissimo mare?
Come trascurare la perla del Tirreno, la magnifica Cefalù, la bella tra le belle, con il suo incantevole Duomo?
Come si fa a non parlare della mitica Erice che sembra un borgo medievale della Toscana trapiantato in Sicilia che dall’alto dei suoi 751 metri regala al fortunato turista dei panorami mozzafiato?
E la magica Valle dei templi ad Agrigento?
La più grande testimonianza culturale lasciata dai Greci in Sicilia, meta di turisti che arrivano da tutte le parti del mondo che giustamente è stata proclamata dall’Unesco patrimonio dell’Umanità?

Quante altre Regioni possono vantare l’arte barocca che c’è nella magica Ibla o nella splendida Noto che con la ricostruzione della cattedrale di San Nicolò, il più grande esempio di barocco siciliano, sembra rinata?
Inviando queste cartoline da alcuni dei centri più belli dell’Isola si fa sicuramente torto a tante altre realtà turistiche emergenti e di sicuro avvenire:
la splendida Sciacca che regala ai suoi visitatori tramonti mozzafiato (ad es. quello di Capo S. Marco), la capitale del cuscus, San Vito lo Capo col suo splendido mare e la sua magnifica spiaggia, la riserva dello Zingaro nella vicina Scopello, le saline di Trapani e dintorni.

Veramente unica è la bellezza degli arcipelaghi che circondano la Sicilia:
a partire dalle incantevoli Eolie (Lipari, Vulcano, Panarea, Salina, Alicudi, Filicudi), le magiche Egadi (Favignana, Marettimo, Lèvanzo per citare solo le maggiori), le splendide Pelagie (Lampedusa, Linosa e Lampione), Ustica e Pantelleria.
Lampedusa merita una menzione speciale:
perché, oltre che essere isola incantevole per le sue bellezze naturali, è ammirevole e commovente per il suo fraterno spirito di accoglienza: se ci fosse un premio Nobel per l’accoglienza Lampedusa non avrebbe rivali!

Non si può parlare delle allettanti prospettive della Sicilia senza accennare alla sua gastronomia, ai suoi vini delle sue dodici rinomate strade del vino.
In Sicilia, come in nessun’altra Regione d’Italia, il cibo è veramente cultura e vera categoria dello spirito, potendo contare sui frutti della sua terra che profumano di sole (quanta dolcezza sotto le spine dei fichi d’India!), su una eccellentissima pasticceria a base di mandorlo e pistacchio e su vini di altissima qualità.
 
La Sicilia è bellissima, magnifica ma potrebbe diventare addirittura paradisiaca se solo avesse una classe dirigente degna di questo nome.
La situazione della viabilità è disastrosa, con cantieri interminabili e sempre aperti, gallerie non illuminate, manto stradale dissestato. Provate a percorrere le strade che da Enna portano ad Agrigento ed avrete modo di constatare come le nostre considerazioni siano tutt’altro che esagerate.
Mancano linee ferroviarie degne di un Paese civile e moderno.
Per non parlare poi del disastro ambientale creato da una dissennata gestione della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti.
Piange il cuore a vedere cumuli di rifiuti maleodoranti sotto il feroce caldo agostano lungo le strade di bellissimi centri siciliani a partire dal capoluogo palermitano.
La Sicilia ha bisogno di essere governata e governata bene: duole dirlo, ma oggi non lo è.
Con un’altra classe dirigente la Sicilia non avrebbe avuto bisogno della paura creata dal terrorismo jihadista per aumentare le presenze turistiche sul suo territorio.
Ha tutto, veramente tutto, per potere diventare un polo di attrazione turistica di sicuro valore internazionale, diamole l’unica cosa che le manca: un Governo degno di questo nome!

sabato 16 luglio 2016

Prima di WhattsApp



Sembra che sia trascorso un secolo prima di Facebook, Skipe, Wattsapp e invece è trascorso poco tempo. Ricordate la vita prima di WhattsApp e prima dei social network?

Ricordate quelle belle cartoline illustrate che si spedivano dai luoghi di villeggiatura? Adesso non si trovano più. Trovare una cartolina illustrata è un’impresa, se vai in edicola a chiederla ti guardano in modo strano, come per dire: “Questa cosa vuole?”.

Ricordate quando per telefonare a casa si cercava una cabina telefonica? Adesso io le vedo queste cabine telefoniche, sembrano strumenti arcaici ma è trascorso poco tempo che sono fuori uso. Adesso siamo sempre connessi, facciamo sapere a tutti dove siamo e cosa facciamo, penso che si è acquisita una certa dipendenza.

Nessuno avrebbe immaginato (solamente pochi anni fa) che il classico sms, sarebbe stato messo da parte, sarebbe diventato obsoleto.La tecnologia oggi viaggia alla velocità della luce e il messaggio dal telefonino è diventato obsoleto. Ormai l’uso di WhattsApp è diventato capillare per connettersi con familiari e amici.
Il funzionamento è semplice, alla portata di tutti e l’applicazione è gratuita. Sono questi i suoi punti di forza.

Esistono i “punti di debolezza”: catene di S. Antonio a non finire che sono davvero una grande rottura. E poi tutti quei video che fanno scaricare rapidamente la batteria.

Insomma WhattsApp (come tutte le applicazioni) va usato con moderazione e oculatezza se non vogliamo perdere il nostro io più profondo, se vogliamo ancora intrattenere rapporti che non siano soltanto virtuali...

giovedì 7 luglio 2016

Giù le mani dalla costituzione

Di Michelangelo La Rocca


La Costituzione della Repubblica Italiana, la legge fondamentale della Repubblica italiana, è stata approvata dall’Assemblea Costituente il 22 dicembre 1947, promulgata il 27 dicembre seguente, pubblicata sulla gazzetta ufficiale n. 298 del 27 dicembre1947 ed entrò in vigore il 1º gennaio del 1948.
Il primo gennaio del 2018 compirà 70 ma non li dimostra, conserva una straordinaria freschezza ed un’impressionante attualità e reclama soltanto di essere attuata nella sua pienezza piuttosto che la necessità di essere revisionata od ammodernata.


E’ costituita da 139 articoli suddivisi in quattro sezioni:

Principi fondamentali (articoli 1-12)

Parte prima “Diritti e doveri dei cittadini” (articoli 13-54)

Parte seconda: “Ordinamento della repubblica” (articoli 55-139)

Disposizioni transitorie e finali (disposizioni I-XVIII).

La Costituzione Italiana nata dalla Resistenza per consolidare e difendere la democrazia e la libertà appena conquistate nel tempo ha subito delle modifiche, ma per fortuna i principi fondamentali e la prima parte non sono stati messi mai in discussione.

E non poteva essere altrimenti perché i principi fondamentali che stanno alla base della nostra Carta Costituzionale sono tra i più avanzati del mondo ed anche soltanto pensare di poterli modificare sarebbe stato semplicemente blasfemo.

La stessa cosa penso possa dirsi della prima parte della carta costituzione dove sono previsti i diritti ed i doveri dei cittadini legati fra loro in un rapporto sinallagmatico così stretto ed indissolubile da rappresentare il nerbo della convivenza all’interno dello Stato Repubblicano.

Elenchiamo solo alcuni dei principi che trovano la loro solenne affermazione nel preambolo della Costituzione:

Il principio personalista, laicista, pluralista, lavorista, democratico, di uguaglianza, solidarista, di unità ed indivisibilità della repubblica, quello autonomista, internazionalista e per ultimo, ma non ultimo, quello pacifista.

Quanto ai diritti ed i doveri basti pensare ai diritti civili, ai diritti etico-sociali, ai diritti economici ed ai diritti politici.

Il solo elenco ci dice quanto e come la nostra Costituzione possa essere considerata all’avanguardia nel garantire i diritti degli Italiani e come abbiano fatto bene gli aspiranti nuovi padri costituenti a non prendere nemmeno in considerazione l’idea di potere modificare la sua prima parte.

La seconda parte, invece, è stata modificata in modo significativa nel 2001 ed altre volte è stata oggetto di tentativi di modifica che non sono stati portati a termine.

Basti ricordare la Bicamerale di D’Alema o la Commissione di Quagliariello che, però, non hanno avuto successo e non riusciti a fare approvare dalle due Camere alcuna proposta di modifica.

Diverso è stato il progetto di revisione portato avanti durante il governo Berlusconi nel 2005/2006 che approdò ad un testo approvato dal Parlamento ma che, poi, fu bocciato dagli italiani in occasione del referendum confermativo.

Quel progetto aveva qualche spunto positivo ma è stato percepito come la riforma della Devolution che rischiava di minare dalle fondamenta l’unità dello Stato e fu per questo che gli elettori giustamente lo bocciarono senza esitazione alcuna.

Dopo anni e tanti tentativi infruttuosi il Parlamento ha ora, durante il Governo Renzi, approvato una significativa riforma della Costituzione Italiana conosciuta sotto il nome di riforma Boschi dal nome del Ministro delle Riforme che ha profuso ogni sua energia affinché tale riforma venisse approvata.

Questa riforma ha preso spunto da esigenze e necessità largamente condivise: eliminare il bicameralismo perfetto, dare maggiore stabilità al sistema politico italiano, ridurre il numero dei parlamentari ed altri, tanti altri ancora.

Nonostante ciò le forze politiche si sono divise e la riforma è stata approvata col solo voto favorevole del PD e dei suoi piccoli alleati provenienti, tra l’altro, in modo trasformistico da schieramenti opposti.

La critica principale che viene rivolta è che tale riforma, se approvata, in combinato disposto con la nuova legge elettorale (il c.d. italicum) comporterebbe il rischio di una svolta autoritaria ed il timore che possa instaurarsi una sorta di dittatura della maggioranza e dell’uomo “solo al comando” di tale maggioranza.

Ma non è soltanto questo ad allarmare quanti hanno a cuore le sorti della nostra democrazia.
La riforma del Senato, ad esempio, è, a dir poco, approssimativa e pasticciata.
Si è partiti dalla giusta, e largamente condivisa, esigenza di eliminare il Bicameralismo perfetto ma si è finito col partorire una soluzione che lascia molto perplessi tantissimi autorevoli costituzionalisti.
I Senatori non verranno eletti direttamente, avranno l’immunità parlamentare, non costeranno alle finanze statali, hanno la possibilità di intervenire nel processo di approvare le leggi rendendo confusa la divisione delle competenze tra la Camera ed il Senato e senza che ci sia la certezza che il processo di formazione delle leggi possa diventare più spedito ed efficace.

E’ opinione largamente diffusa che piuttosto che un Senato come quello previsto nella riforma Boschi sarebbe stata meglio l’abolizione pura e semplice del Senato.

Si aggiunge che se la riforma costituzionale venisse approvata le Regioni ne uscirebbero fortemente indebolite e prive di qualsiasi autonomia, anche quelle di natura finanziaria e fiscale, e tutto il sistema delle autonomie in cui si articola l’assetto istituzionale della nostra Repubblica ne uscirebbe fortemente indebolito.

C’è un’altra ragione che consiglia di respingere nettamente il tentativo di modificare in modo così consistente la nostra bella Carta Costituzionale.

La riforma è stata votata a strettissima maggioranza da un Parlamento gravemente delegittimato dopo che la Corte Costituzionale con la propria sentenza 1/2014 dichiarò l’incostituzionalità della legge elettorale (il c.d. porcellum) con la quale lo stesso Parlamento era stato eletto, anzi nominato.
Le ragioni che stanno alla base della necessità di un voto fortemente contrario non vengono meno per il fatto che la Riforma ha alcuni indubbi aspetti positivi (l’introduzione dei referendum propositivi, l’esame di costituzionalità preventivo delle leggi elettorali, la restrizione del potere del Governo di emanare decreti leggi).
Chi scrive, da sempre interessato alle sorti democratiche del proprio Paese, oggi è in un momento di sofferta riflessione su cosa sia meglio fare, contrastato tra la consapevolezza che una riforma sia necessaria ed il timore che, per i motivi espressi prima, non sia la migliore delle riforme possibili.
Nel mezzo di questa sofferta ed incerta riflessione mi è venuto in mente che nella scienza medica a tutela della salute si applica il principio di “precauzione”.

Se esiste anche soltanto un serio dubbio che la costruzione di un impianto, l’uso di un materiale o di una tecnologia possano mettere a rischio la salute dei cittadini la costruzione di quell’impianto non si autorizza, quei materiali e quella tecnologia non si usano.

Credo che la democrazia e la libertà rappresentino la salute dell’anima di un popolo e se esiste anche solo il ragionevole dubbio, ed a sentire tanti ed illustri costituzionalisti siamo già oltre il ragionevole dubbio, che la Riforma della Costituzione di conio renziano possa mettere a rischio la salute della nostra anima di cittadini liberi e democratici, questa riforma non deve essere approvata.

Qualcuno sostiene che approvare la c.d. Riforma Boschi equivale a sfigurare una bellissima donna buttandole dell’acido sul viso: facciamo in modo che una simile brutalità non accada!
Difendiamo la Costituzione che, come ha detto il grande Benigni, è la più bella del mondo ed aspettiamo tempi e legislatori migliori per fare le modifiche veramente necessarie alla sua seconda parte.

Ed è per questo che io non l’approverò ed al referendum d’autunno voterò no senza esitazione alcuna!







domenica 3 luglio 2016

La coerenza di Marco Pannella

di Michelangelo La Rocca

Marco Pannella, il più sui generis politico italiano, il 19 maggio scorso, dopo una lunga malattia, ci ha lasciati.

Voglio proporre qui ed ora un ritratto dell’uomo e del politico Marco Pannella che vuole essere scevro di “servile encomio” e di “codardo oltraggio”.

Voglio fare subito una chiara premessa: non stravedevo per Marco Pannella, mi appariva troppo radicale per i miei gusti, troppo provocatorio, a volte mi sembrava un violento della “non violenza” con i suoi scioperi della fame che sembravano dei ricatti belli e buoni per imporre le proprie idee anche a coloro che non le condividevano.

La morte, però, copre col proprio misterioso e pietoso velo l’asprezza della polemiche e consente di ragionare con pacato distacco sulla sua figura.

Marco Pannella è stato quasi sempre un” uomo contro”, ma seppe essere spesso un “uomo per”, sempre e comunque minoranza e minoritario, ha saputo però essere a suo modo uomo di governo capace di concludere le sue discusse, e spesso discutibili, battaglie con clamorosi successi, degni di un vero e proprio uomo di governo.

Basti pensare al divorzio ed all’aborto, due grandi, fondamentali conquiste in tema di diritti civili ottenute grazie al contributo attivo e decisivo di Marco Pannella.

Ha avuto il grande merito di innestare la lotta su questi due grandissimi temi che, col concorso di altre forze progressiste, prima fra tutte il PCI del grande Enrico Berlinguer, furono concluse con un successo insperato se si considera che contro la loro affermazione c’erano la Democrazia Cristiana e la Chiesa Cattolica.

Pannella è stato anche l’uomo della stagione referendaria, dei referendum vinti (su tutti quelli sul divorzio e l’aborto) e di quelli persi soprattutto per il mancato raggiungimento del quorum.

La partita della democrazia è sempre una bella partita che va giocata sempre e comunque, se però mi è consentito rivolgere una critica a Marco Pannella è quella di essere stato nel contempo l’uomo dell’affermazione del referendum e l’uomo della morte del referendum.

Avere fatto un ricorso abusato a tale importante istituto, anche per materie che non presentavano una grande attrazione politica, ha svilito questo istituto di democrazia diretta, fino a decretarne la fine con l’ormai consueto mancato raggiungimento del quorum.

Forse un uso del referendum più oculato e meditato avrebbe sicuramente allungato la vita di tale, importantissimo istituto di democrazia diretta ed oggi non saremmo qui a parlare della sua ormai irreversibile crisi.

Pannella è stato anche l’uomo che si è battuto con tutte le sue forze per carceri più civili ed umani, il modo in cui i carcerati hanno partecipato al lutto per la sua morte è stato assai eloquente.

Forse non è riuscito a vincere la battaglia a favore dei carcerati: abbiamo ancora carceri sovraffollati, i detenuti in attesa di giudizio sono ancora più numerosi dei condannati in via definitiva, le condizioni di vita dei carcerati sono tuttora disumane.

Marco Pannella, però, ha fatto tutto quello che era nelle sue possibilità per portare all’attenzione della classe politica e delle forze governative questa grande battaglia di civiltà giuridica e già questo, solo questo, è un suo indubbio, grandissimo merito.

Un’altra grande battaglia portata avanti da Marco Pannella è stata quella contro la fame nel mondo.



Anche questa è una battaglia ancora aperta, dagli esiti difficili: troppi sono ancora coloro che muoiono di fame (soprattutto donne e bambine del terzo mondo), troppe sono le risorse alimentari sprecate dal bieco consumismo moderno.

Marco Pannella, però, si è speso molto, con energia e passione, per questa nobile causa. E lo ha fatto senza calcoli, senza secondi fini: non a caso, infatti, Marco Pannella, nonostante i suoi indiscutibili meriti, non ha mai riempito le urne elettorali di schede recanti la croce sul simbolo del Partito Radicale, il suo partito .

Le sue battaglie, infatti, non erano mai per l’oggi, guardavano sempre al domani, se non al dopo domani, senza effimeri e meschini calcoli elettorali.

A volte sono sembrate discutibili le sue capriole politiche, si è alleato col centro destra (Berlusconi), ma anche col centro sinistra (Prodi).

Anche in questo, però, ha conservato una sua lineare coerenza: si alleava con la destra e con la sinistra, ma lui restava fermo sui principi, sui suoi programmi: usava gli eterogenei alleati per portare avanti le sue iniziative.

Forse lo faceva avendo presagito quello che ormai è sotto li occhi di tutti: i programmi ormai sembrano tutti uguali, si è affermato un pensiero unico ed i confini tra destra e sinistra sono così sfumati che, quasi quasi, non si vedono più.

Alla luce di ciò va rivista l’accusa di essere un trasformista perché, forse, aveva visto prima degli altri quello che ora vediamo tutti: la profonda ed irreversibile crisi delle ideologie!

Come aveva visto per tempo la crisi dei partiti, la degenerazione di quella che lui chiamava partitocrazia.

Oggi di fatto i partiti, tradizionali e non, sono morti, sono diventati liquidi, una vita dei partiti vissuta democraticamente da veri iscritti non esiste più.

In conclusione di questo breve ricordo e di questo veloce ritratto possiamo dire che Marco Pannella ha condotto tutte le sue grandi battaglie sempre nel rispetto di una personale coerenza: mai alleato col potere, sempre al servizio delle sue nobili idee.

Spesso aveva ragione, qualche volta torto, ma sempre in buona fede e senza mai tradire se stesso.

In tempi di buio trasformismo, di imperante qualunquismo non è poco, anzi è molto, moltissimo!

Buon riposo Marco nel luogo dei giusti, il posto che ti spetta di diritto per la onestà, la tua coerenza, il tuo coraggio.







Europa come anomalo tavolo da poker

Di Rosario Amico Roxas
L’UE, articolata come è stata, e continua ad essere, è paragonabile ad un anomalo tavolo di poker a 28 giocatori, 26 dei quali si barcamenano in una specie di equilibrata uguaglianza, mentre due esigono la parte del leone, forti della loro economia, per cui impongono agli altri 26 il loro ritmo di gioco.

Chi si è seduto ad un tavolo di poker, sa bene che devono essere applicate formule in grado di impedire soverchie prepotenze da parte di chi possiede una maggiore potenzialità di rilancio. Così Inghilterra e Germania hanno imposto i loro interessi al di sopra di un equilibrato rapporto tra diritti e doveri, fermo restando il principio di reciprocità solidale; in tal modo tutto rischia di andare a gambe per aria.

L’Inghilterra ha tentato un bluff, minacciando l’uscita che, secondo loro, avrebbe dovuto atterrire gli altri 26. Non è andata così, perché il “bluff della perfida Albione (definizione di G. D’Annunzio)” non ha tenuto nel dovuto conto la fondamentale base egoistica della piccola e media borghesia, che nel referendum proposto dal governo inglese, ha votato massicciamente a favore dell’uscita della loro nazione dall’UE, atterrita dalla eventualità di rendere partecipi della loro opulenza quei disgraziati che fuggono dalle guerre e dalla miseria Nei tavoli di poker, sia pure anomali, il bluff è sempre un rischio, così l’Inghilterra, con il bluff del referendum, si ritrova fuori dalla Comunità Europea, dentro la quale non si è mai sentita integrata.

Ci sarebbe da dire “fuori uno !”.

Ma c’è ancora la Germania del quarto Reich, con la Merkel che sa bene di non avere nelle altre 26 nazioni, un potenziale antagonista, trattandosi, mediamente, di nazioni guidate da mezze cartucce, in grado di alzare la voce quando si ritrovano “dietro l’angolo”, ma poi, in presenza di Anghela, si calano le braghe, assumendo una scomoda posizione a 90°. Basti dire che il premier francese François Gérard Georges Nicolas Hollande, pur nella sua mediocrità, appare come un gigante.

Per carità di patria non mi pronuncio su Matteo Renzi, attualmente troppo impegnato a salvare le cuoia minacciate dal un referendum da lui stesso voluto, nel tentativo di realizzare un bluff, al quale nessuno ha creduto. A bluffare in quel tavolo anomalo ci provò anche l’ingenuo Berlusconi, illuso di poter controllare una situazione con la sola forza di una “scala fallita”; rilanciò ad alta voce, non tanto per intimidire gli avversari, quanto per farsi sentire in patria, dove le quotazioni personali seguivano lo spread pilotato dalla Merkel. Fu ingenuità, fu tracotanza, fu inettitudine, ma il risultato furono le dimissioni da capo del governo, che lo stesso definì “eleganti”, per salvare almeno la faccia.

Da europeista convinto, mi piace immaginare una diversa realtà europea, con 26 nazioni potenzialmente equilibrate, in grado di realizzare gli “Stati Uniti d’Europa”, e non per realizzare un equilibrato tavolo di anomalo poker, quanto per ricominciare daccapo, dall’idea primordiale che fu degli europeisti convinti, accomunati da un medesimo ideale di democrazia, solidarietà e anti-fascismo, nonché anti-nazismo, del quale non ci sarebbe più bisogno cancellando la Germania da un futuribile Stato Unito d’Europa.

venerdì 6 maggio 2016

GIULIO REGENI: una verità da scoprire


di Michelangelo La Rocca

Tra il gennaio e il febbraio 2016 in Egitto è stato ucciso Giulio Regeni, un giovane ricercatore italiano dell’Università di Cambridge.

Giulio è stato rapito il 25 gennaio, giorno del quinto anniversario delle proteste di piazza Tahrir, e il suo corpo è stato ritrovato il 3 febbraio successivo.

Le condizioni della sua salma, ritrovata vicino al Cairo in un fosso lungo l’autostrada Cairo- Alessandria, hanno evocato ipotesi di tortura anche per i legami che Regeni aveva con il movimento sindacale che si oppone al regime egiziano.
Hanno colpito tutti alcune frasi pronunciate dalla madre di Giulio, la meravigliosa madre di Giulio, quando ha detto di avere riconosciuto suo figlio solo dalla punta del naso e quando ha affermato di aver visto sul viso del figlio “il male del mondo”.

L'uccisione del giovane Giulio è oggetto di un accesissimo dibattito politico in Italia, ma anche fuori dei confini italiani.

E soprattutto è diventato un caso diplomatico molto delicato nei rapporti tra Italia ed Egitto dato che ad oggi non sono chiare le finalità e le modalità di esecuzione del delitto in cui ha trovato la morte Giulio, un ragazzo della bella gioventù italiana, benvoluto da tutti e che, a detta di molti che lo conoscevano, col suo pensiero sprigionava un’incredibile energia.

Come sempre quando la ragion di Stato si intromette nella ricerca della verità si assiste ad un incredibile e farsesco balletto di versioni che sono vistosamente in contrasto con la verità, quella vera, quella che per essere definita non avrebbe bisogno di aggettivi.
Per certi versi sembra di assistere al contrasto che va avanti da anni ormai tra l’Italia e l’India sull’ancora irrisolto caso dei due marò italiani.

Ci si lamenta, e quasi sempre a ragione, della giustizia italiana per poi scoprire che, quando la giustizia viene amministrata secondo le regole degli ordinamenti di altri Stati (vedi appunto India ed Egitto), ci tocca rimpiangere quella italiana con i suoi tempi lunghi, le sue tante opacità e le sue mille contraddizioni.


La ricerca della verità è un imperativo categorico, lo si deve prima di tutto a Giulio, alla sua splendida madre, alla sua famiglia, all’Italia, agli egiziani che si oppongo al regime del maresciallo Abd al-Fattah al-Sisi, ai protagonisti della primavera araba, lo si deve all’opinione pubblica internazionale.

La diffusione di versioni sull’esecuzione del delitto in palese contrasto con quella che sembra la verità inoppugnabile dei fatti fino ad ora emersi ha il solo scopo di confondere le acque e rendere complicata se non impossibile la ricerca della verità.


Faccia attenzione il regime egiziano: la verità, come diceva Gramsci, è sempre rivoluzionaria e inoltre ha un vizio pericoloso: tende sempre a venire a galla, reclama con forza di essere svelata!
Dobbiamo dire che la giustizia italiana ed il Governo italiano fino ad ora si mossi bene, hanno mostrato di tenere in debita considerazioni i valori ai quali si deve ispirare la civiltà giuridica occidentale.

Anche il Capo dello Stato Sergio Mattarella, con la sua ormai nota sensibilità umana ed istituzionale, in occasione del Meeting nazionale delle scuole per la pace, la fraternità e il dialogo riferendosi all’uccisione di Giulio ha affermato che «Non vogliamo e non possiamo dimenticare la sua passione e la sua vita orribilmente spezzata».
Speriamo che il Governo Italiano sappia tenere la barra dritta, che non si pieghi alla ragion di Stato accontentandosi di verità di comodo. Se ciò dovesse accadere verrebbe compromesso il prestigio internazionale del nostro Paese.
Sappia il Governo Italiano che è meglio non cercare la verità piuttosto che far finta, solo finta, di cercarla.
Non ci sono ragioni economiche che tengano: ne va del nostro prestigio internazionale ormai ridotto all’osso!

Lo sappiano il Premier Matteo Renzi e tutti i suoi ministri: per l’Italia, per gli Italiani sarebbe un imperdonabile tradimento!

Lasciamo in triste solitudine la Francia che si sta rendendo protagonista di un assordante silenzio per non compromettere la firma di qualche contratto economicamente allettante; una delusione simile dalla terra che ha dato i natali a Voltaire e che è tata la culla dell’Illuminismo nessuno se la sarebbe mai aspettata!
Per fortuna sta crescendo di giorno in giorno la pressione internazionale ed è sceso pesantemente in campo anche in New York Times che con un commento firmato dall’Editorial Board, ossia dal giornale nel suo insieme, si schiera con la linea dura dell’Italia e attacca il presidente Hollande prossimo a stringere la mano ad al Sisi

Proprio l’intervento del New York Times ha costretto Hollande a porre il caso Regeni durante l’incontro con Al Sisi, ma avrebbe dovuto spedire al mittente la farneticante affermazione secondo la quale in Egitto non valgono i diritti umani europei.

Aggiungiamo che sarebbe auspicabile una convinta e convincente iniziativa dell’Unione Europea per fare uscire allo scoperto il regime egiziano costringendolo a dire la verità, tutta la verità.


Diciamo che in un momento in cui la vecchia Europa sta attraversando una pericolosa crisi d’identità potrebbe essere un’occasione più unica che rara per far sentire la propria voce e per dimostrare di esistere ancora.

Non sarebbe molto, ma visti i tempi che corrono non sarebbe poco.
La verità quella vera, senza aggettivi, per il suo antico fascino meriterebbe l’attenzione del vecchio Continente.
Fino ad oggi ha preso una posizione troppo timida, troppo blanda ed invece occorre un pronunciamento forte e deciso, l’unico che sarebbe capace di costringere l’Egitto ad abbandonare questo atteggiamento di mistificazione e derisione della verità che ogni giorno prende sempre più corpo.
Proprio per questa debole presa di posizione europea l’Egitto, non solo fa di tutto per non svelare la verità, ma si consente atteggiamenti arroganti e sprezzanti come il recente arresto del consulente della famiglia Regeni o come la sconcertante sortita di Rania Yassen, presentatrice della rete egiziana Al Ahdath, che ha avuto l’ardire di parlare di un complotto e di mandare al diavolo il povero Giulio.

Speriamo che alla fine, anche se ad oggi prevale il pessimismo, la ragione prevalga su tutto, anche sulle miserie della ragion di Stato.
Giulio e sua madre se lo aspettano e se lo meritano: non possiamo, non dobbiamo deluderli!


La bella gioventù italiana

Come è bella

la gioventù italiana,

in giro per il mondo

scavalcando muri

e fili spinati,

superando i confini

fra i vari Stati.

Cercando verità,

giustizia, amore,

trova la morte,

l’atroce dolore.

Se ne è andata

la bella Valeria,

non c’è più

l’eroico Giulio!

E’ mesto il leone

a San Marco,

è incredulo il Friuli,

scosso, attonito.

Morti innocenti

saranno un monito

per tutti i potenti:

Benché uccisi

sono ancora viventi.

La grande energia

del loro pensiero,

le coscienze ha scosso

del mondo intero,

nulla sarà come prima,

arriverà la luce

nei bui meandri


del potere opprimente:

Sembra invincibile,

conterà niente!


Poesia di Michelangelo La Rocca
















lunedì 25 aprile 2016

La Riforma della Costituzione ed il principio di precauzione.

di Michelangelo La Rocca
Dopo anni e tanti tentativi infruttuosi il Parlamento ha approvato una significativa riforma della Costituzione Italiana nata dalla Resistenza per consolidare e difendere la democrazia e la libertà appena conquistate.

Questa riforma ha preso spunto da esigenze e necessità largamente condivise: eliminare il bicameralismo perfetto, dare maggiore stabilità al sistema politico italiano, ridurre il numero dei parlamentari ed altri e tanti altri.

Nonostante ciò le forze politiche si sono divise e la riforma è stata approvata col solo voto favorevole del PD e dei suoi piccoli e pochi alleati provenienti, tra l’altro, in modo trasformistico da schieramenti opposti.

La critica principale che viene rivolta è quella che tale riforma, se approvata, in combinato disposto con la nuova legge elettorale (il c.d. italicum) comporterebbe il rischio di una svolta autoritaria col timore che possa instaurarsi una sorta di dittatura della maggioranza e dell’uomo “solo al comando” di tale maggioranza.

Chi scrive, da sempre interessato alle sorti democratiche del proprio Paese, oggi è in un momento di sofferta riflessione su cosa sia meglio fare, contrastato tra la consapevolezza che una riforma sia necessaria ed il timore che, per i motivi espressi prima, non sia la migliore delle riforme possibili.

Nel mezzo di questa sofferta ed incerta riflessione mi è venuto in mente che nella scienza medica a tutela della salute si applica il principio di “precauzione”.

Se esiste anche solo un serio dubbio che la costruzione di un impianto, l’uso di un materiale di una tecnologia possano mettere a rischio la salute dei cittadini la costruzione di quell’impianto non si autorizza, quei materiali e quella tecnologia non si usano.

Credo che la democrazia e la libertà rappresentino la salute della nostra anima e se esiste un ragionevole dubbio, ed a sentire tanti ed illustri costituzionalisti questo dubbio, che la Riforma della Costituzione di conio renziano possa mettere a rischio la salute della nostra anima di cittadini liberi e democratici questa riforma non deve essere approvata: Ed io non l’approverò!!!





martedì 12 aprile 2016

Croce e Einaudi

Di Rosario Amico Roxas
In un dibattito come questo è importante capire e farsi capire, quindi l’itinerario può farsi anche sdrucciolevole, purché chiaro. Ritengo Croce,il più importante intellettuale del secolo scorso

Correttamente mi viene posta da alcuni lettori, sulle pagine de “L’Espresso” rubrica di Stefania Rossini, l’esigenza di guardare “anche” a Einaudi, proponendo una commemorazione negativa a fronte di quella positiva formulata per Croce.

L’argomento mi sollecita, ma bisogna dilatare il discorso prima di lanciarsi in assoluzioni o in condanne (non ne avrei il titolo). Con Croce parliamo di liberalismo, magari erede delle cultura di fine ottocento, quella cultura che impose a Croce una scelta di opposizione quando si trattò di votare l’inserimento nella Costituzione del Concordato del 1929; di contro, e la cosa meravigliò molti, ci fu l’approvazione da parte di Togliatti, con una scelta di alta strategia politica e diplomatica. In quel caso l’erede del liberalismo ottocentesco dovette seguire l’impegno culturale laico con punte anticlericali, mentre Togliatti aspirata a entrare, di forze e con convinzione nella sfera governativa. Già fin da allora apparve la distinzione tra “liberalismo” e “liberismo”, distinzione che toccherà il massimo della contraddittorietà con i goveni Berlusaconi, falsamente presentati come “liberali.

Non concordo con quanti, ipocritamente assimilano liberalismo con liberismo, come se si trattasse di parenti stretti, oppure di discendenza diretta. Il liberalismo si è nutrito di capitalismo, ma nel rispetto delle regole, quando la società civile meritava di essere identificata come “civile”.

L’antitesi tra liberalismo e liberismo non nasce in epoca remota, ma si è accentuata con la disgregazione dell’ideale liberale, quando le differenze si fecero tali da porre i loro contenuti in antitesi fra di loro.

Il liberalismo voleva e vuole educare gli uomini perché insegna ad auto realizzarsi, perchè l'individuo si perfeziona solo se è libero di realizzarsi come meglio crede. Nel liberalismo storico è nucleo centrale la meritocrazia che risulta strettamente connessa a un'economia di mercato. Esattamente l’opposto di quanto sostenuto dal neo-liberismo targato Berlusconi.

Fu Benedetto Croce ad avviare un dibattito tra liberalismo e liberismo, allo scopo di differenziare le libertà economiche dalle libertà civili, attribuendo alle seconde un rango nettamente superiore alle prime. La distinzione iniziale fu di carattere culturale, ma con dichiarata supremazia delle libertà civili, nel rispetto dell’altrui libertà che non deve essere sopraffatta in nome del mercato.

Dopo questa premessa ecco evidenziarsi talune differenze tra Croce ed Einaudi, senza la pretesa di giudicare, assolvere o condannare, bensì semplicemente annotare; nessuno dei due avrebbe nemmeno immaginato di veder mortificato l’ideale liberale come è accaduto con la “discesa” in politica (il termine, usato dallo stesso Berlusconi, è proprio quello esatto, perché mai, pur nella millenaria storia di Roma, la politica è scesa così in basso, al punto da dover ricorrere a Caligola per trovare un parallelo credibile) di Berlusconi; fin dall’inizio del suo governo venne descritto come liberismo, volendo utilizzare un termine che è diventato dispregiativo e, per questo, antitetico al liberalismo.

Il liberalismo perse così i suoi contorni, fagocitato dal nuovo liberismo berlusconiano che fece scempio della libertà individuale e del rispetto delle altrui libertà, per dare spazio alla legge del più forte, del meno dotato di scrupoli, con lo stimolo all’evasione fiscale, con l’abolizione del reato di falso in bilancio, con le turbative d’asta diventate metodo di attribuzione. La Stato promise (e mantenne la promessa) il suo disinteressamento, per lasciare libero il mercato di regolamentarsi da solo, ma fece di più per incoraggiare tutto ciò che uno Stato democratico avrebbe identificato come reato penale: il liberismo berlusconiano ha provveduto a tranquillizzare i suoi sostenitori, inventando sanatorie l’una dopo l’altra, condoni che premiavano gli evasori e punivano i redditi dipendenti, costretti a pagare alla fonte; quindi il massimo con lo scudo fiscale che permise il rientro dei capitali frutto di evasione fiscale e dei movimenti economici che hanno dilatato a dismisura il debito pubblico, garantendo il diritto all’anonimato ottenendo in cambio la gratitudine (e la protezione) di tutte le mafie, anche quelle rinnovate con i colletti bianchi.

Liberismo assume oggi una valenza dispregiativa, che ai veri liberali ortodossi e proiettati verso “un liberalismo del terzo millennio”, non conviene nemmeno ricordare.

Oggi l’Italia intera è chiamata a pagare gli errori commessi in mala fede, che hanno arricchito pochi e depauperato la stragrande maggioranza del paese.

Il liberalismo può ancora partecipare, a pieno diritto, ad un nuovo risorgimento economico, politico, sociale ed etico, ma deve dialogare con le parti che fin ora sono state identificate come avversari, per promuovere una sempiterna “lotta di classe” a vantaggio della classe più opulenta, collocandosi al Centro della politica e in dialogo costruttivo con la Destra conservatrice purchè democratica e col la sinistra social-democratica non marxista

Con la fine di Berlusconi, finisce il liberismo di mercato, dello Stato disattento, dei condoni e delle sanatorie, nonché delle leggi ad personam; finisce, praticamente “il capitalismo liberista” che dovrebbe poter essere sostituito dal “capitalismo sociale” che nasce dall’incontro (e non più dallo scontro) del capitale-denaro con il capitale-lavoro, disposti, entrambi, paritariamente, a collaborare nella solidarietà sociale.

martedì 5 aprile 2016

Se la sanità è più malata dei suoi pazienti...


Di Michelangelo La Rocca

Tra i compiti fondamentali dello Stato e delle sue diverse articolazioni istituzionali, in particolare le Regioni, c’è sicuramente la tutela della nostra salute.

Oggi questo delicatissimo compito viene assolto soprattutto dalle Regioni tramite il Servizio Sanitario Nazionale.
Diciamo subito che la vecchia Europa, ed all’interno di essa la nostra Italia, sono conosciuti nel mondo per servizi sanitari avanzati e solidaristici e non è un mistero che persino Obama per la sua riforma sanitaria si è in qualche modo ispirato ai sistemi europei.

Nonostante ciò pensiamo che il sistema sanitario italiano possa, anzi debba, funzionare meglio, eliminare atavici ritardi, far diventare i propri servizi omogenei su tutto il territorio perché ora i livelli delle prestazioni sanitarie variano da Regione a Regione e, ad esempio, in Sicilia non hanno la stessa qualità che hanno in Lombardia.

Ancora oggi sono frequenti i così detti viaggi della speranza che portano pazienti da Agrigento a Milano per tutelare il bene più prezioso che abbiamo: la salute, la nostra salute.
Tutt’ora si muore di parto negli ospedali e si è costretti ad interrogarci se queste morti verificatesi durante le feste di fine anno abbiano avuto a che fare con la particolare organizzazione dei turni di lavoro di quel periodo: simili dubbi in un Paese civile non dovrebbero sorgere mai.

E’ doverosa una premessa, mi accingo a scrivere queste considerazioni sulla sanità italiana senza vantare alcuna specifica competenza in merito se non quella di utente, di paziente.
Può sembrare una competenza, un’esperienza di poco conto, ma non è così. Se ci pensiamo bene il “paziente” dovrebbe essere al centro del sistema sanitario se è vero, come è inconfutabilmente vero, ciò che abbiamo detto in principio di questo scritto: e cioè che la precipua finalità del Servizio Sanitario Nazionale è quella, non può che essere quella, di tutelare la salute del paziente, la salute in tutte le sue varie articolazioni: quella fisica e quella psichica.

E’ così?
E’ la domanda alla quale proverò a dare una risposta al termine di questa mia riflessione, ma temo che alla fine la risposta non sarà positiva, anzi sarà tutt’altro che positiva.

Chi è il paziente?
Il paziente, in medicina, è una persona che si rivolge ad un medico o ad una struttura di assistenza sanitaria per accertamenti o problemi di salute.
Il termine deriva dal latino patiens, il participio presente del verbo pati, intendendo "sofferente" o "che sopporta".

Paziente è anche chi fa esercizio di pazienza, che sa attendere, sa tollerare. E diciamo che termine migliore non si potesse scegliere per indicare l’utente della sanità, la sua è una vita di lunghe attese, di tante sopportazioni, di infinite tolleranze.

Non a caso e non per caso un problema che cronicamente affligge la sanità italiana sono le famigerate liste d’attesa, sempre lunghe ed interminabili.

Tanti, tantissimi governanti in campagna elettorale (solo in campagna elettorale) hanno annunciato di voler ridurle od addirittura eliminarle senza mai riuscirci.

Ancora oggi anche nel più virtuoso Nord dell’Italia non è raro dovere attendere più di un anno per una visita oculistica o quasi un anno per un ricovero per un intervento chirurgico anche di ordinaria amministrazione.

Tutto questo capita per caso?
Secondo me no.

Avendo avuto a che fare con la sanità di varie Regioni italiane (dalla Sicilia alla Liguria, dal Piemonte alla Lombardia, dalla Toscana all’Emilia-Romagna), posso dire che il problema dei problemi, quello che ammorba il sistema sanitario nazionale è l’insano rapporto che c’è tra la sanità pubblica e la sanità privata, un rapporto non di virtuosa concorrenza ma di morbosa complicità.

Fino a quando non sarà tagliato l’ammorbato cordone ombelicale che lega i due sistemi la sanità italiana sarà chiamata a curare prima di tutti se stessa: è triste ammetterlo, ma è così.
E credo che il modo per recidere in modo netto questo patologico cordone ombelicale è uno, uno soltanto: prevedere l’assoluta incompatibilità tra impiego nella sanità pubblica e quello nella sanità privata.

Un solo Ministro della Salute ci ha provato ed è stata Rosi Bindi, ma la sua permanenza in quel ministero è durata lo spazio di un solo mattino e quello che è più grave è il dovere constatare che è stato il suo stesso partito a silurarla senza prova d’appello.

Domandiamoci il perché.

Una prima risposta ci è venuta da un’indagine tutt’ora in corso sulla sanità lombarda dalla quale si è appreso di tangenti pagate per allungare le liste d’attesa nelle strutture pubbliche per favorire le strutture private.
E’ notorio che oggi i migliori primari ospedalieri visitano privatamente e lavorano anche nelle cliniche private.

Spesso le visite private, dopo le quali emettono (quando le emettono) salatissime parcelle per pochi minuti di prestazione, non servono ad altro che a prenotare un posto in un pubblico ospedale magari per essere sottoposti ad un intervento chirurgico.

Tutti lo fanno, tutti lo sanno, ma nessuno interviene: come mai?

Ma non finisce qui. Altro pernicioso male che affligge la sanità è la corruzione, non passa mese senza che si verifichi uno scandalo di gravità inaudita, che coinvolga dirigenti di alto livello e politici di primaria importanza: è di pochi giorni fa lo scandalo che ha coinvolto la Regione Lombardia e non è prima volta che ciò accade.

E quello che scandalizza ancora di più è il fatto che gravi fatti corruttivi accadano in una Regione che si vanta, e forse anche non a torto, di avere un sistema sanitario di eccellenza, il migliore in Italia.

La corruzione è un cancro che ha ammorbato l’anima del nostro Paese, che l’ha relegato ai margini dell’Europa accostandolo dal punto di vista etico ai Paesi del terzo mondo.

La dimensione quantitativa del fenomeno corruttivo è tanta e tale da incidere anche sulla crisi economica, se solo si pensa che la spesa sanitaria assorbe più della metà dei bilanci delle Regioni italiane è facile capire di che cifre si sta parlando.

La corruzione ha effetti cancerogeni sul tessuto etico del nostro Paese, ma la corruzione nella sanità è ancora più perniciosa e mortifera: sottrarre risorse, e spesso ingenti risorse, alle terapie, alla ricerca contro le malattie più pericolose e mortali non è soltanto un delitto contro la pubblica amministrazione, è qualcosa di più e di più grave e come tale deve essere affrontato sia a livello di prevenzione che di repressione.

Serve una più appropriata e severa quantificazione delle pene, proporzionate all’efferatezza dei delitti commessi.
Sottrarre anche solo un centesimo di euro alla lotta contro le malattie e le sofferenze, spesso atroci, che esse provocano è inaccettabile, intollerabile, chi si macchia di simili crimini non merita di essere considerato un essere umano.

E’ amaro dirlo, lottare contro le malattie, specie quelle croniche e più perniciose, è terribile, ma spesso avere a che fare col sistema sanitario è anche peggio: parola di paziente!













giovedì 3 marzo 2016

Generazione di precari



Il presidente dell'INPS Tito Boeri ha rilasciato la sconcertante notizia: i trentenni di oggi andranno in pensione a 75 anni (io aggiungo “se tutto va bene”). Si tratta dunque di una generazione precaria, perdente, destinata a lavorare a lungo e ad avere poco nella vecchiaia. Sono queste le cose che danno fastidio, che fanno perdere il buon umore e l'appetito. Ogni giorno di più ci rendiamo conto di come un giovane difficilmente trova un lavoro, anche se ha in mano una laurea. Prospera il lavoro nero (quando c'è) e sono pochi coloro che riescono ad ottenere un impiego a tempo indeterminato. La laurea non è più una “carta sicura” per ottenere un lavoro.
Laureati di tutti i tipi aumentano di anno in anno e, quindi, inevitabilmente il “pezzo di carta” che prima serviva per entrare nel mondo del lavoro, viene sempre di più svalutato. L’università italiana sta “scoppiando" e la facoltà di medicina ne è un esempio. Si devono fare i turni per permettere ai giovani di accedere ai laboratori.
Se è vero che la scuola deve preparare i giovani alla vita, essa (anche quando non fornisce una preparazione professionale) dovrebbe sempre tendere a mettere il giovane in grado di acquisire certe cognizioni che gli saranno utili per il suo inserimento nella vita sociale e professionale.
L'epoca attuale, in cui viviamo, è caratterizzata dal veloce evolversi della civiltà e dal progredire della scienza e della tecnica. In questa era di automazione, di viaggi spaziali e di cervelli elettronici, si fanno sempre maggiori le esigenze di una preparazione professionale migliore e più ampia del passato. Molti giovani rimpiangono di essersi laureati e pensano di “avere perduto tempo inutilmente”. In effetti oggi vengono rilasciate lauree che non permettono al giovane di lavorare, sposarsi, mantenere con decoro una famiglia. È appunto per questo motivo che ci si sposa sempre più tardi e la natalità diminuisce...
Il nostro è un tempo di ricerca. Il mondo in cui viviamo è dinamico, meravigliarsi di ciò che è nuovo od attardarsi su vecchi schemi non è più accettabile.
Diventa sempre più difficile per i giovani italiani inserirsi nel mondo del lavoro, la disoccupazione aumenta e un giovane senza lavoro e senza prospettive può diventare preda del vizio, della droga, della criminalità. Spero che i nostri governanti diano la priorità all’inserimento dei giovani nel mondo della vita lavorativa
Spero che si capisca il concetto che soltanto lavorando e traendo da un’onesta attività la soddisfazione di continuare a vivere, si può vivere con dignità e si può disciplinare la propria mente e il proprio corpo alla scuola dell’operosità. Il lavoro è un alimento per l’anima come il cibo lo è per il corpo, non potrebbe essere diversamente poiché chi non svolge nessuna attività si sente relegato in un angolo buio dell’esistenza.

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venerdì 22 gennaio 2016

Il giorno della memoria

Di Sara Acireale e Massimo Messina


Il 27 gennaio sarà il Giorno della Memoria, istituito per volontà del Presidente della Repubblica Ciampi. È stato scelto questo giorno poiché la liberazione dei deportati ad Auschwitz avvenne in tale data, nel 1945, da parte dell’esercito sovietico. I versi della poesia Shemà introducono il libro "Se questo è un uomo" di Primo Levi. In questo libro ed in altri suoi scritti, Levi esprime con forza il dovere della testimonianza che, come ex deportato ad Auschwitz, sentiva con forza, e il dovere della memoria, che adesso è anche nostro. “Shemà”, in ebraico, significa “ascolta”, ed è parafrasi della preghiera più conosciuta della fede israelita, contenuta nella Bibbia (Deuteronomio 6,4-7). “Ascolta” nel senso di “devi ascoltare!”: abbiamo il dovere di ascoltare e ricordare. Coloro che vissero la tragica esperienza dei campi di sterminio fra pochi anni, per motivi anagrafici, non saranno più tra noi. Il Giorno della Memoria diviene sempre più un’occasione per impegnarsi affinché lo sterminio pianificato di un intero popolo non debba mai più ripetersi e per battersi con energia affinché ogni genocidio sia impedito. L’unicità dello sterminio degli ebrei (in ebraico Shoà) è un fatto, ma il Giorno della Memoria deve servire anche come monito affinché noi possiamo aprire gli occhi su tutti i genocidi contemporanei, e ci alziamo in piedi per batterci contro di essi. Bisogna battersi contro ogni tipo di razzismo e mai più gli esseri umani siano distinti in razze. Come affermava Albert Einstein, “esiste soltanto una razza, la razza umana”.
Nell’estate del 1942 i tedeschi decisero la “soluzione finale”, cioè lo sterminio sistematico dell’intero popolo ebraico. Oltre agli ebrei, furono deportati e sterminati i “diversi”: malati di mente, zingari, omosessuali, testimoni di Geova, criminali comuni e oppositori del regime (comunisti, socialisti,libertari e così via). Quanti si indignavano quando il vicino di casa, il collega, l’amico spariva dalla circolazione? Quando intere famiglie di ebrei erano evacuate dalle loro case, caricate su vagoni-bestiame e private di tutto ciò che possedevano? Quanti sentivano la propria coscienza ribellarsi? Forse la paura era più forte di qualsiasi altro sentimento?


La responsabilità italiana

Non soltanto la Germania ebbe responsabilità del genocidio. L’Italia fascista fu il maggiore alleato del regime nazista ed ebbe grandi responsabilità per quanto riguarda il genocidio degli ebrei. Nel 1938 le “leggi per la difesa della razza” furono la manifestazione giuridica di una politica dichiaratamente antiebraica. In seguito a ciò gli insegnanti ebrei persero la cattedra, tutti i ragazzi giudei furono cacciati fuori dalla scuola pubblica, a molti commercianti fu bruciato il negozio. La rivista "La difesa della razza" di Interlandi e Giorgio Almirante, dal 1938, propagandò l’odio razziale e antisemita. Vi furono persone che si macchiarono della grandissima colpa di denunciare anonimamente intere famiglie di ebrei e farle deportare nei campi di sterminio. Ci chiediamo se tali responsabili hanno ripensato a tali fatti con sentimenti di ravvedimento.

I giusti tra le nazioni

Bisogna anche ricordare che vi furono alcune persone che aiutarono molti ebrei a salvarsi. Essi hanno ricevuto il titolo dallo Stato di Israele di “giusti tra le nazioni”. Uomini come Schindler, Palatucci e Perlasca dimostrarono al mondo che la dignità umana poteva ancora esistere, anche a
costo di pagare con la propria vita. Palatucci, infatti, morì in un campo di sterminio nazista, dopo aver salvato migliaia di ebrei da tale tragica sorte. Si dice giustamente di lui che amò il suo prossimo non come sé stesso, ma più di sé stesso. Bisogna augurarsi che mai più accada che l’uomo sia degradato e disprezzato come è accaduto con la Shoà e che la società futura porti pace e armonia fra tutti i popoli del mondo.