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sabato 11 dicembre 2010

MESSAGGIO DI NATALE

Natale si avvicina. Auguri a tutti di pace e amore.
Non c'è spazio per la tristezza nel giorno in cui nasce la vita, una vita che distrugge la paura della morte e dona gioia e speranza. L'entusiasmo del Natale è avvolto da un alone di letizia. Gioia, speranza, giustizia, fratellanza fra i popoli, sono i veri frutti di questo annuncio che si ripete ogni anno.
Il Natale del Signore è essenzialmente annuncio di Letizia. Purtroppo succede che proprio per questa festività in molte famiglie si verificano malintesi e malumori. La parola "letizia" sembra oggi una parola vuota, priva di significato. Sembra anzi fare dell'ironia contro milioni di esseri umani che non hanno mai conosciuto un giorno di pace, di serenità; contro tutti quelli che vivono in zone martoriate; popoli interi costretti a viveri nella fame e nella miseria; bambini che ogni giorno muoiono per denutrizione... il tutto nella quasi totale indifferenza di coloro che conducono una vita agiata e senza problemi.
Eppure ognuno di noi sa che la Gioia non è un sentimento di poca importanza, non è qualcosa di secondario per la nostra esistenza.
Come si può esultare e festeggiare il Natale quando ci sono milioni di uomini, donne e bambini che patiscono la fame? Come si può riunirsi per il cenone, giocare a carte e ballare quando molti civili muoino per guerre fratricide?
Il nostro Dio non forza i ricchi a spogliarsi e nemmeno i poveri a rapinare.
Si dovrebbe comprendere che i ricchi hanno un debito verso i più poveri e sfortunati di loro. Il nostro cuore dovrebbe sentirsi profondamente commosso per l'infelicità di altri esseri umani e dovremo essere spinti in modo irresistibile ad aiutare i più deboli.
Il 2011 si avvicina, la nostra tecnologia è molto avanzata, stiamo per conquistare spazi interplanetari che ieri ci sembravano irraggiungibili, molte malattie sono state debellate eppure... milioni di bambini muoiono ancora per fame.
Il nostro ESSERE SUPREMO vuole per questo Natale che l'uomo (ogni uomo, ricco o povero che sia) si convinca a fare nascere dentro il suo cuore l'uomo nuovo, l'UOMO FRATELLO.
Vorrei che per Natale tutti i bambini del mondo potessero mangiare il panettone e giocare e divertirsi; vorrei un mondo diverso, di pace e di amore; vorrei che tutte le donne e gli uomini della terra si stringessero le mani formando un allegro girotondo.

venerdì 19 novembre 2010

IL MURO E' CROLLATO


Andrea Minardi apparteneva ad una famiglia di poveri pescatori. Era una famiglia numerosa formata da sette fratelli e due sorelle. Nascere poveri non è certo … un bell'affare. Bisogna rinunciare a molte cose. I ricchi hanno comodità di ogni genere e i poveri... niente di niente. Lo sapevano bene i Minardi che conducevano una vita piena di stenti. Abbastanza spesso si presentava la necessità di saltare i pasti e i vestiti smessi dai fratelli più grandi erano poi usati dai più piccoli. Le calze erano piene di buchi e le scarpe sempre rotte e, d'inverno, i piedi dei piccoli Minardi erano sempre gelati. Il padre guadagnava stentatamente da vivere vendendo pesce e uova.

Dalla mattina alla sera il poveretto, girava per tutte le strade del paese gridando a squarciagola: “Haiu u pisci! Haiu l'ova frischi!”. Col suo sconquassato carrettino girava dalla mattina alla sera come una trottola. Il pesce e le uova che vendeva erano sempre pochi e i miseri spiccioli che guadagnava non bastavano per sfamare la numerosa famiglia. Nel piccolo paese in riva al mare in cui viveva, Andrea non aveva nessuna possibilità di costruirsi un futuro. Sognava una vita diversa ed era disposto a tutto per ottenerla.

Aveva da poco compiuto sedici anni, quando firmò un contratto di sette anni in marina. Con grande dolore si separò dalla sua famiglia e dalla sua bella Sicilia per andare a navigare verso l'ignoto, nell'immenso oceano. Trascorsero molti lunghissimi anni e Andrea, dopo molte avventure e disavventure, tornò al suo paese. Aveva intenzione di sposarsi, di formare una famiglia. Aiutato dai suoi fratelli, potè costruire una bella casetta e offrire un buon rifugio a Margherita, la sua sposa, mentre lui prendeva la strada per l'India. Trascorse ancora molto tempo prima che Andrea potesse ritornare a casa.

Dopo una permanenza di soli pochi mesi dovette ripartire per l'Africa. Questa volta, però, lasciò alla giovane moglie la speranza di un figlio. Margherita, come tutte le donne in dolce attesa, preparava il corredino e non vedeva l'ora che il piccolo nascesse per poterlo cullare e stringerlo tra le braccia, coccolarlo e cantargli graziose canzoncine.

Qualche mese più tardi Andrea si ammalò gravemente e venne trasportato d'urgenza all'ospedale di Palermo. Il primario dell'ospedale fu categorico nel formulare la diagnosi: “Si tratta di epatite virale. La possibilità di salvarsi è minima”.

Non appena fu informata del caso, la povera moglie accorse subito al suo capezzale, ma il marito in coma non la riconobbe nemmeno. Notte e giorno Margherita lo curò con pazienza e amore, non si allontanò mai da lui, rinfrescandogli le labbra ardenti con del ghiaccio e cercando di spiare sul caro volto un segno impercettibile di vita. Nulla appariva, purtroppo, e i giorni trascorrevano senza portare alcun sollievo al malato. Margherita gli stava instancabilmente vicino anche se aveva ormai perduto la minima speranza.

La povera donna non poteva fare altro che pregare e sperare. Un giorno però il malato, improvvisamente aprì gli occhi e sorrise debolmente. Guardando teneramente la sua sposa mormorò:- Sei tu Margherita? Dove mi trovo? Che cosa è successo? Perchè non mi porti a casa? -

Una grande gioia si impadronì di lei, una nuova speranza. La donna corse trafelata ad informare l'infermiera: - E' successa una cosa meravigliosa. Mio marito mi ha riconosciuta. -

*

Sia ringraziato il cielo! Signora, suo marito si salverà. Questo può essere chiamato il “miracolo dell'amore”. Adesso può stare finalmente tranquilla, suo marito è sulla strada della guarigione. -

Così piano piano Andrea incominciò a riacquistare la salute, dopo qualche mese nasceva Elisabetta, la loro prima figlia. Era bella, robusta e sana. Il suo visetto rosa e i suoi occhioni nocciola donavano ai due giovani sposi una felicità immensa. Stavano sempre davanti alla culla in adorazione della piccola. Pensavano di essere i primi genitori al mondo ad avere avuto una bambina.

Dopo una lunghissima convalescenza, Andrea riprese un imbarco di tre anni e andò in Cina, lasciando sua moglie con Elisabetta e Valeria: una seconda bambina di pochi mesi. Margherita non voleva che il marito ripartisse di nuovo, lasciandola sola con la responsabilità di due bambine. Cercò in tutti i modi di convincerlo a non partire, a trovare un lavoro più tranquillo che gli permettesse di restare vicino a lei e alle due bambine. Disse che lei aveva bisogno di un marito e le piccole di un padre presente. Andrea non volle sentire nessuna ragione.

- Mia cara Margherita – disse – amo teneramente la mia famiglia, adoro le bambine ma, dopo avere girato il mondo, non sono più fatto per condurre una vita sedentaria e senza emozioni. -

I tre anni di ingaggio passarono e Andrea ritornò a casa.Per festeggiare l'avvenimento Margherita aveva invitato i parenti e gli amici più cari. La serata, purtroppo, era incominciata male. Il padre non aveva assolutamente voluto che le bambine partecipassero alla cena nella sala da pranzo. Andrea Minardi si era troppo abituato alla severa disciplina militare e il suo tono non ammetteva repliche. Alle proteste della moglie si era perfino adirato ed era diventato rosso in volto.

*

Come ti permetti di discutere i miei ordini? - aveva detto- Sono il padre e intendo occuparmi dell'educazione delle mie figlie. I bambini, per crescere bene, hanno bisogno della massima disciplina. Sin dalla più tenera età devono abituarsi a obbedire senza discutere. E' in questo modo che si forma il carattere. -

Gli amici non avevano osato fare commenti e, benché non condividessero quella eccessiva severità, si erano seduti a tavola senza parlare. L'atmosfera si era fatta tesa. La festa si era guastata. Valeria, che aveva da poco compiuto tre anni, stava compostamente seduta sull'ultimo gradino della scala, il bel visino era leggermente imbronciato. Era in attesa di quanto le era stato promesso: un po' di dolce e di crema, quando gli adulti avessero terminato il loro pasto. E finalmente Elisabetta e Valeria videro arrivare il dessert e anche le bambole e i giocattoli che quel personaggio sconosciuto che era loro padre, aveva portato in regalo.

“Perché quell'uomo antipatico non se ne andava? Cosa era venuto a fare? Senza di lui c'era più gioia in casa”. Pensavano le due sorelline.

Andrea questa volta (stanco dopo avere attraversato molte peripezie) si lasciò convincere dalla moglie a restare e trovò lavoro presso la base militare di Sigonella, fino al giorno in cui ebbe diritto a un lavoro più tranquillo come guardia forestale. Valeria aveva l'età di sei anni quando arrivò il momento di traslocare, proprio allora si ammalò di pertosse.

Rimase con i nonni materni mentre papà, mamma e la sorellina andavano ad abitare in una casa sperduta in mezzo ai boschi. Sembrava la casa di Cappuccetto rosso. Dopo essere stata per qualche mese a casa dei nonni, anche lei raggiunse la sua famiglia. Da quel momento la sua vita cambiò completamente. Prima aveva giocato e scherzato con i suoi piccoli amici, aveva partecipato alle feste di compleanno dei suoi compagni, aveva respirato a pieni polmoni l'aria vivificante del mare. Tutto questo era finito per sempre.

Ora si trattava di fare una marcia di due chilometri per andare a scuola. Nel posto in cui erano andati ad abitare, d'inverno il freddo era veramente intenso. La piccola Valeria soffriva di geloni, ma suo padre non ammetteva assolutamente che potesse essere accompagnata in macchina.

Molti anni di marina militare avevano deformato il carattere di Andrea a tal punto che non riusciva a capire che con i bambini, non può essere applicata la rigida disciplina dei militari. D'inverno, quando il percorso diventava particolarmente faticoso per la neve e il ghiaccio, trovava la soluzione ideale: calzava due grossi stivaloni e camminava davanti alle bambine, che mettevano i loro piedini nelle impronte paterne. Se le bambine si lamentavano ribatteva: - Cosa sono tutti questi capricci? Perché vi lamentate? Voi non conoscete gli stenti, come invece li ho conosciuti io. Su, camminate svelte e state zitte. -

In quel posto isolato e freddo trascorsero due anni interminabili. Poi Margherita convinse il marito a lasciare quel posto dimenticato da Dio e dagli uomini. Così la famiglia Minardi andò ad abitare in un posto meno isolato, dove l'infanzia di Elisabetta e Valeria continuò a svolgersi, avendo modo di frequentare bambini della loro età. Man mano che il tempo passava il rapporto tra Valeria e suo padre andava deteriorandosi sempre di più. Lei e suo padre non riuscivano a comprendersi. Erano incapaci perfino di comunicare. L'animo delicato e sensibile di Valeria sopportava male quel clima teso e un moto incontrollabile di insofferenza saliva dal suo cuore. C'erano giorni in cui aveva l'impressione di esplodere perché quel clima era in contrasto con la sua natura.

Con apprensione vedeva avvicinarsi la Pasqua perché in quell'occasione era considerato un dovere per lei e per sua sorella dare un bacio di augurio a suo padre.

Per Elisabetta (di carattere più accomodante) la cosa non costituiva un problema, invece per lei ogni volta era una dura prova. Quando la Pasqua era finalmente passata, si sentiva sollevata da un grande peso e respirava per il sollievo. “Anche questa volta è tutto finito”. Pensava.

Gli anni passavano. Dopo avere conseguito con buoni voti il diploma di ragioneria, la ragazza (consigliata dal padre) si iscrisse all'università di Catania in Scienze dell'Informazione. Non avendo predisposizione per le materie scientifiche, alcuni rami del programma si presentarono un po' difficili per lei. Allora lasciò perdere, facendo adirare ancora una volta suo padre e cercò lavoro come segretaria in un'azienda. Andrea non ammetteva, per questa figlia un po' ribelle, una vita piatta, mediocre. Faceva di tutto per farle capire che non era contento di lei, ma ahimé, nel modo sbagliato.

Valeria aveva molti amici della sua età, ma amava anche la compagnia di persone più grandi di lei. Andava spesso a salutare e a scambiare due chiacchiere con un'amica di sua madre di nome Giulia. Con questa signora era entrata in confidenza. Con lei parlava volentieri dei suoi problemi.

*

È migliorato il rapporto con tuo padre? - le chiedeva qualche volta Giulia.

La ragazza rispondeva che con il padre era impossibile dialogare, che un muro invisibile li divideva, un muro più nsormontabile del muro di Berlino.

*

Se è caduto il muro di Berlino, può cadere anche il muro che ti separa da tuo padre. Non ti pare, Valeria? Ascoltami bene, tocca a te rompere il ghiaccio. Ho l'impressione che tuo padre, in fondo, non è una cattiva persona. Ha avuto una vita difficile ed è soltanto prigioniero di determinati schemi. Aiutalo tu a uscirne. - Le disse un giorno la signora Giulia.

Valeria incominciò a riflettere e poi rispose: - Senti Giulia, ti prometto che cercherò di rompere il ghiaccio con mio padre. E' difficile... ma ce la farò. Come sai, da noi ci si bacia soltanto in rarissime occasioni, per esempio per Pasqua e per Natale. Incomincio a pensare che forse questo comportamento non è normale, in famiglia bisogna esprimere liberamente i propri sentimenti. Domani mattina, quando scenderò in cucina e troverò mio padre che prepara il caffè, lo bacerò e gli dirò: “Buongiorno papà, ti voglio tanto bene”.

Così, ormai impegnata dalla sua parola, la ragazza non poteva fare marcia indietro ed era decisa a mantenere la decisione presa. La buona volontà non mancava, ma il passo da fare era più difficile del previsto. Più di una volta, scendendo in cucina, rimase bloccata dall'atteggiamento severo e impassibile di suo padre. La povera Valeria restava come paralizzata e non riusciva a mantenere la promessa fatta alla sua amica Giulia. Andrea era sempre burbero e, da parte sua, non arrivava nessun incoraggiamento.

Finalmente Valeria si rivolse al Signore e così lo pregò: “Signore, questa situazione sta diventando insostenibile. Desidero che Andrea Minardi diventi un “vero padre” per me. Aiutami tu, te ne prego. Fai cadere questo muro. Vieni in mio soccorso”.

Questa preghiera servì a darle coraggio. Così un bel giorno scese in cucina, si avvicinò risolutamente a suo padre e, senza pensarci due volte,gli stampò due grossi bacioni sulle guance dicendo: - Mio caro papà, ti auguro una buona giornata, devo anche dirti che ti voglio un mondo di bene. -

*

Diamine! Si può sapere cosa succede Valeria? Che festa è oggi? Non è il mio compleanno. Non è Pasqua e nemmeno Natale, che io sappia. -
*

Infatti, non è nessuna ricorrenza particolare. Oggi è una giornata come tante altre. Dimmi, non ti sembra naturale che una figlia dia un bacio a suo padre augurandogli una buona giornata? Papà, non te lo avevo mai detto e può darsi che non te lo ripeterò più, ma sono fiera di essere la figlia di Andrea Minardi. -

Il padre abbracciò con tenerezza la figlia e due lacrime sceserò dai suoi occhi. Padre e figlia si erano finalmente trovati. Da quel mattino in poi un grande sollievo scese nel cuore di Valeria e di suo padre. Il muro era finalmente crollato. Il ghiaccio era stato sciolto dai caldi raggi dell'amore.

venerdì 22 ottobre 2010

C'ERA UNA VOLTA BANDIERA ROSSA


Ricordo le elezioni del 13 e 14 aprile 2008 quando la Sinistra Arcobaleno ha subito uno shock tremendo e non ha fatto più parte del parlamento italiano. Non avrei mai creduto che la Sinistra Arcobaleno scendesse sotto la soglia del 4%. Il risultato delle elezioni 2008 è stato disastroso per Bertinotti e compagni, al di sotto di ogni aspettativa. Quali sono i motivi che hanno causato questa sconfitta? La sinistra radicale non è stata più capace di scendere in piazza e interagire con la gente del popolo.Bertinotti nonvienepiù visto nell’ immaginario collettivo come una persona capace di stare in mezzo al popolo, capire i bisogni degli operai, dei disoccupati, delle casalinghe. Assomiglia sempre di più a un gentleman pieno di contraddizioni e il popolo non si sente più rappresentato da lui. Quello che doveva fare la sinistra l’ ha fatto e lo sta facendo Grillo.
E’ paradossale ma il posto della sinistra nel cuore della gente è stato preso da un comico.

LA CADUTA DEL MURO E LA FINE DEL COMUNISMO

In Europa il sogno del comunismo è finito insieme al crollo del Muro di Berlino. Considerando cosa ha rappresentato in Russia, in Cina e negli altri paesi dove è statoapplicato il comunismo, non possiamo provare una grande nostalgia. Un grande errore del marxismo è stato il fatto di usare una grande “energia” verso l’appiattimento e il conformismo delle masse. La dittatura del proletariato sulla borghesia è stata una “follia”. Tutta la massa proletaria non poteva governare quindi veniva rappresentata dal partito che gestiva la dittatura per conto del popolo. In questo modo finiva la dittatura del PROLETARIATO e rimaneva la dittatura del PARTITO. Cosa è realmente successo dopo il crollo del MURO?

TRASFORMISMO DEL P.C.I

I partiti comunisti europei hanno pensato di gettare via l’acqua sporca con tutta la biancheria dentro. Anziché riscrivere nuove pagine della storia con valori di libertà, di pace e di uguaglianza, si sono adeguati al modello imperialista vincente.Si è verificata la trasformazione del P:C:I in P.D.S e successivamente in D.S. Quando Moro e Berlinguer volevano porre le basi per il Compromesso Storico, la base comunista e democristiana ha manifestato un feroce malcontento. Oggi gli eredi di questi partiti hanno fatto molto di più, si sono fusi in un unico partito e cosi è nato il P.D. Oggi sia le forze politiche che gli elettori hanno smarrito valori e ideali. Forse è per questo motivo che raddoppiano i voti della Lega e l' Italia dei Valori di Di Pietro. Oggi i partiti non hanno più una base politicizzata. Da una parte ci sono i "poveri diavoli" che sperano in un posto di lavoro (per chi ce l' ha di mantenerlo) e dall'altra parte "avvoltoi" che desiderano fare carriera.
I partiti sono diventati strutture di potere utili soltanto ai propri candidati.. In particolar modo oggi bisogna pensare all'alternativa, riprendere in mano i valori di uguaglianza (non omologazione), libertà e pace e riproporli come le basi di un nuovo mondo. Occorre un movimento di gente che non sia "asservita" al potente di turno. Un movimento senza servi ne padroni per realizzare una società di uomini e donne più libera e giusta. Auspico una Italia nuova che da voce
a chi oggi non c'è l'ha:agli emarginati, ai sfruttati, ai clandestini, ai disoccupati.
Soltanto recuperando i contenuti di una cultura fatta di concetti come uguaglianza, libertà, rispetto e solidarietà; rilanciando movimenti di lotta e rivendicazione dei diritti, la sinistra italiana può ripartire per cambiare in meglio questa società.

mercoledì 6 ottobre 2010

DOPO LA FIDUCIA AL GOVERNO: la tregua armata

Ascoltando il dibattito nei due rami del Parlamento, mi pareva di assistere ad una scena surreale: un presidente del consiglio che per anni non ha perso occasione per svilire il Parlamento e la concezione stessa della democrazia rappresentativa, è venuto in quel luogo a riproporre l’idea di un’Italia vista come il migliore dei mondi possibili, tacendo su quante e quali siano le questioni irrisolte e mai affrontate. Vista la situazione, il tono è stato molto attento a non creare occasioni di frattura nei confronti di Futuro e Libertà. Ed i famosi “5 punti” altro non erano che pezzi del precedente programma del PdL impastati in modo da mettere insieme un qualcosa dal quale Fini ed i suoi non potessero sfilarsi.
Il cavaliere non ha infatti condotto il dibattito parlamentare come un bilancio di due anni di governo, cosa che sarebbe logica in una democrazia parlamentare, ma semplicemente allo scopo di cercar di neutralizzare e, se possibile, rendere irrilevante Futuro e Libertà.
Due erano i suoi obbiettivi:
1-Ottenere comunque la maggioranza, per non precipitare verso elezioni per le quali, visti i sondaggi, la situazione siciliana, lo straripare della Lega, non si sente affatto pronto; ed in ogni caso non lo sarà per un periodo di tempo non breve. Occorreva quindi comunque il voto dei finiani e del MPA. Era infatti evidente che, anche se le operazioni di acquisto, dapprima delegate a Nucara onde darvi un minimo di parvenza politica e poi, dopo il fallimento di questo tentativo, gestite in proprio e con più solidi argomenti, avessero sortito un risultato, questo sarebbe comunque stato insufficiente a garantire un minimo di governabilità senza l’apporto di Fini & C.
2-Ciò premesso, era parte essenziale della strategia del cavaliere il poter dimostrare una propria autosufficienza parlamentare, da esaltare mediaticamente, anche se -ripeto- questa avrebbe avuto un significato più simbolico che pratico. Ma, in politica, i simboli contano anch’essi, e per la grancassa mediatica, ancor di più.

Se il primo obbiettivo è stato ovviamente raggiunto, il secondo è stato nettamente mancato alla Camera, anche se il giorno dopo, al Senato, il cavaliere ha potuto parlare di un “allargamento della maggioranza”, dovuto ai transfughi di API e UdC. Ma il vero tentativo di allargamento “politico” della maggioranza, quello affidato a Nucara, era da giorni clamorosamente fallito.
E, se Berlusconi ha centrato il primo obbiettivo, ciò è stato solo per l’evidente ragione che nei disegni di Fini non c’era e non c’è alcuna strategia che preveda una sua collocazione al di fuori dell’area della destra. In aggiunta, non ha alcun interesse a rompere con la maggioranza ed a creare una situazione di ingovernabilità che avvicini le elezioni e che otterrebbe, semmai, il solo effetto di render meno aleatoria l’ipotesi di un governo tecnico. La dimostrazione di questa asserzione è arrivata puntuale, alla Camera, da Bocchino, in un intervento infarcito di “si, ma” e “ma anche”, che ha dato nettissima la sensazione che Futuro e Libertà non abbia e non avrà, a meno di più che evidenti provocazioni, alcuna intenzione di far saltare la maggioranza. E le provocazioni, più o meno gravi, arriveranno solo quando Berlusconi vi avrà ravvisato quell’utilità che oggi non vede. Nel frattempo, ciascuno dei due contendenti cercherà di ribadire la propria visione delle cose, con interventi e dichiarazioni, ma stando ben attento a non superare il punto di non-ritorno.
Ma il fatto di non aver conseguito l’autosufficienza di quota 316 (che comunque, nessuna persona sana di mente potrebbe immaginare come di per sé sufficiente a proseguire l’attività di governo), mette in difficoltà il cavaliere. Il quale sa benissimo che, alla fine, otterrà sempre l’appoggio della nuova maggioranza a tre gambe, ma solo dopo estenuanti trattative, stretto com’è tra la Lega e Fini. Si profila quindi, per il momento, un classico governo di coalizione, simile per tanti aspetti a quelli della aborrita Prima Repubblica: assisteremo a defatiganti ed il più delle volte poco concludenti vertici di maggioranza, nei quali il prezzo che il PdL dovrà pagare a Lega e FL sarà sempre più alto.
La conclusione è, quindi, che in questa sorta di “drole de guerre”, si sia arrivati per il momento ad una specie di armistizio tra il presidente del consiglio, palesemente indebolito, e quello della camera che, pur avendo conseguito un risultato importante e comunque in linea con quelli che erano i suoi obbiettivi, non è oggi in grado, ammesso che pure lo voglia, di scatenare l’affondo.

Adesso, la questione è cercar di capire cosa potrà scaturire da questo armistizio, per sua natura del tutto instabile: esso potrebbe risolversi con la ripresa delle ostilità ed una rottura definitiva, cui seguirebbero elezioni quasi immediate con l’attuale legge elettorale. E’ quanto spera, con lucidità, la Lega, che sa che da una prova elettorale avrebbe per il momento, solo da guadagnare. Ma Bossi, a sua volta, non può far saltare un tavolo al quale, bene o male, è legato il pasticcio del federalismo fiscale. E, con altrettanta facilità, la finta guerra potrebbe risolversi, come più volte è stato, in una intesa politica che aspiri a durare per tutta la legislatura. Certo, lo scoglio della questione giustizia resta in mezzo alla rotta ad ostacolare questa prospettiva, ma occorrerà vedere se alla fine le ragioni della convenienza reciproca non faranno sì che, in un modo o nell’altro, questo possa essere superato.
Su questo gioco di equilibri instabili si consuma la prosecuzione della legislatura, in una commedia del tutto avulsa dai veri problemi del Paese.

E l’opposizione? La discussione in Parlamento è stata lo specchio dei limiti e delle difficoltà in cui anch’essa si dibatte. Il PD pensa ad una sorta di CLN delle opposizioni, per costituire una coalizione che abbia l’obbiettivo di sconfiggere la destra e la costituzione di una maggioranza di governo finalizzata alla modifica della legge elettorale e, prevedibilmente, a realizzare alcuni provvedimenti “di minima” indirizzati ad affrontare almeno le più urgenti tra le emergenze economico-sociali. In sostanza, un governo di emergenza democratica ed economica.
Metodo, questo, in sé condivisibile, se non altro perché è difficile intravedere vie di uscita diverse. Ma un disegno del genere deve fare i conti, innanzi tutto, con le posizioni dei centristi. E qui cominciano i problemi.

Il Terzo Polo appare più come un oggetto di discussione accademica, che come il soggetto di una concreta prospettiva politica. Per esser tale, dovrebbe riuscire a coinvolgere un Fini che invece ha affermato chiaramente che la sua polemica col cavaliere è, e resta, interna alla destra. E dovrebbe sperare in una non facile esplosione del PD. Non solo; la prospettiva del Terzo Polo appare minata da una labilità politica di fondo: significativo, da questo punto di vista, l’intervento di Bruno Tabacci, che in un ragionamento serrato e consequenziale, ha imputato al cavaliere, oltre alle concezioni populiste ed alle politiche ad personam, una sostanziale inadeguatezza derivante più da quanto non ha realizzato o realizzato male e parzialmente del suo programma di governo, che dal fatto che tale programma fosse indirizzato verso una direzione sbagliata. Come dire: “Apprezziamo il progetto, ma non il modo col quale è stato attuato”. Mi sembra, questo, un ben debole modo di immaginare il ruolo di un Terzo Polo alternativo alla destra ed alla sinistra, a meno che il concetto di alternativa alla destra non si riduca all’aspirazione a candidarsi ad una più efficiente attuazione di quelle politiche di destra, sulle quali, immeritatamente, Berlusconi ha conquistato il suo consenso.
E’ questo un equivoco che Casini e Rutelli dovranno sciogliere alla svelta.

In quanto all’idea di un fronte comune delle opposizioni, destinato a costituire una maggioranza di tipo CLN, finalizzata a pochi ed urgenti interventi, questa deve evitare il rischio di nascere negli equivoci. Perché possa adempiere credibilmente al proprio ruolo, ed in funzione di questo conquistare la maggioranza dei consensi, occorre che, con molta chiarezza, tutti i soggetti costituenti definiscano preventivamente le loro posizioni in ordine alle più urgenti tra le emergenze del Paese, tanto quelle riguardanti il funzionamento della democrazia, che quelle economico e sociali; e, a partire da queste posizioni, si trovi una base d’intesa che, senza alcuna pretesa di essere esaustiva ed in grado di risolvere i problemi strutturali del paese, sia la più ampia possibile, e comunque tale da poter governare almeno le più immediate emergenze economico-sociali; e su questa, presentarsi, quando sarà, a chiedere il consenso dei cittadini per un Governo di emergenza sostenuto dal voto popolare, che non necessariamente dovrà durare un’intera legislatura.
Non è pensabile che un fronte di opposizione che aspiri a diventare maggioranza possa proporre ad un Paese che “non ce la” fa null’altro che la riforma della legge elettorale: occorrono urgenti interventi per correggere una rotta profondamente sbagliata sulle questioni economico-sociali; occorrono azioni immediate per ripristinare un minimo di coesione ed equità sociale e territoriale; occorre che si metta mano a ragionamenti complessivi circa gli indirizzi di politica industriale da seguire.

Occorre parlar chiaro agli italiani: dire loro che la proposta comune dell’ opposizione riguarda il ripristino dei loro diritti di cittadini e la messa in sicurezza di normali condizioni di vita democratica (il che significa anche intervenire su questioni quali l’informazione televisiva ed il conflitto di interessi); e dir loro che riguarda solo i più urgenti provvedimenti di politica industriale e sociale, senza la pretesa di poter avviare a soluzione le questioni strutturali del Paese. Per queste ci vorrà, superata l’emergenza, una “vera” maggioranza politica.

Quindi, è necessario avviare questo processo nella chiarezza: le forze di opposizione non possono rinviare all’infinito la definizione delle loro proposte e delle concezioni di società che ne sono alla base. Che non saranno -lo sappiamo- tutte coincidenti. E, a partire da queste, occorre definire i punti minimi che ci si impegna reciprocamente e davanti agli italiani a portare avanti, ad iniziare dalla modifica della legge elettorale ed a finire con i più urgenti provvedimenti economico-sociali.

Occorre cioè che gli italiani vengano messi in condizione di scegliere due cose:
La prima: se dare o meno la fiducia ad una coalizione che si proponga la sconfitta di questa destra e, oltre al riavvio di normali processi democratici, il governo dell’emergenza economica.
La seconda: di esprimere il proprio voto, all’interno di questa coalizione, iniziando ad orientarsi ed a scegliere sulle diverse prospettive per il futuro e per la soluzione definitiva delle arretratezze ed iniquità del Bel Paese. Cosa, quest’ultima, che diventa possibile solo se si avvia quel processo di chiarificazione di cui si è detto sopra, e se le diverse componenti dell’opposizione, pur presentandosi agli elettori in rapporto di coalizione, propongano le loro idee, i loro punti di vista, le loro facce, le loro liste.
In sostanza, stante l’attuale legge elettorale, con la quale si andrà prima o poi al voto, occorre che venga loro proposto lo schema di un bipolarismo aperto, plurale, e non bipartitico. Se l’arroccarsi dei centristi su una visione tripolare renderebbe impossibile la premessa di questo processo, l’immaginare una coalizione indistinta e catalizzata unicamente dall’antiberlusconismo, presumendo di non far emergere le differenze, in modo particolare sulle idee di società che si intende portare avanti, renderebbe impossibile agli italiani di prender parte ad un reale dibattito politico. Cosa della quale, invece, c’è un profondo bisogno, che i partiti, ed anche quelli della sinistra, non hanno da lungo tempo facilitato.

E credo anche che la convenienza elettorale debba indurre a ciò. Oggi siamo in presenza di un vastissimo astensionismo di sinistra: è lì, in termini numerici, la ragione prima della vittoria della destra. E’ più che fondato il sospetto che questo non possa essere recuperato sino a che il centrosinistra (e soprattutto il PD) proceda con il passo attuale, e sino a che le diverse forze del centro-sinistra non si presentino con le loro idee e con liste proprie. Non si deve dimenticare che il meccanismo della lista bloccata scoraggia l’elettore portatore di una propria concezione politica a votare per una lista nella quale la persona cui intenderebbe dare la propria fiducia, pur presente in quel collegio, non è in condizioni di eleggibilità.
E, se il principio, come giustamente è stato detto, è quello che “non un voto deve andar sprecato”, è allora necessario che il fronte delle opposizioni si presenti sì con un programma minimo unitario chiaro e condiviso, sul quale il leader della coalizione gioca tutto, ma al tempo stesso sappia presentare un’offerta politica chiaramente articolata e selezionabile dagli elettori.

L’esempio del CLN è pienamente calzante. Questo non si costituì come un generico ed indistinto fronte di antifascisti. L’impegno comune attorno al quale si sono raccolti i partiti del CLN, che poi affrontarono le elezioni per la Costituente, non impedì che questi fossero presenti con le loro idee, con le loro persone, con i loro programmi, nettamente diversi l’uno dall’altro, e non impedì che nel periodo intercorso tra l’autunno 1943 e l’estate 1945 questi non proseguissero la loro opera di elaborazione culturale e politica e di proselitismo.

(vedi anche: “Una tempesta nel pantano: http://www.spazioliblab.it/?p=2371, e “Quale Nuovo Ulivo” : http://www.spazioliblab.it/?p=2458)

Gim Cassano (Alleanza Lib-Lab), 04-10-2010.

giovedì 23 settembre 2010

ELUANA ENGLARO un lungo cammino di civiltà


I riflettori si sono spenti e Eluana Englaro riposa in pace, ma la sua vicenda sta continuando a condizionare il confronto politico e particolarmente l'esame del provvedimento sul testamento biologico. Vogliono cancellare il "diritto di scelta" per tutti i cittadini. Sul testamento biologico è stato votato un testo massimalista. Non c'è stato nessun "punto d'incontro" con gli altri soggetti politici. E' questo il "partito della libertà"? Si sono posti seri limiti alla libertà di cura dei cittadini. Si parla di coscienza ma la libertà di coscienza non può essere invocata a senso unico.
Essere "liberi" non significa essere felici, a volte la scelta è molto dolorosa ma la libertà di pensiero consiste in questo: scegliere, soffrire, vivere o morire  senza che il governo o la Chiesa entrino nel letto dei pazienti. A questo bisogna mettere un argine. Stiamo vivendo una regressione culturale impressionante che è all'origne della nebbia che ci avvolge. Esiste un'informazione devastante che ha le sue origini in questa regressine culturale.
Bisogna riflettere. Beppino Englaro ha fatto pensare molti cittadini, così come aveva fatto Piergiorgio Welby.

La maggioranza ha posto la questione cominciando dall'articolo 1 del disegno di legge, dove si dice: "La Repubblica riconosce il diritto alla vita inviolabile e indispensabile". Non nego che questo discorso sia giusto, ma la disponibilità della propria vita spetta al singolo individuo. La rivoluzione del consenso informato, il ribaltamento della relazione del medico col paziente, l'attribuzione della persona di decidere liberamente della propria vita. Vogliamo negare tutto questo?
Beppino Englaro ha intrapreso una dura battaglia durata 17 anni, io lo ritengo un eroe civile perché non ha preferito nascondersi nella clandestinità. Penso che debba essere un esempio per tutti. Molte menzogne sono state dette in tv tra le quali:
1) Una falsità è dire che l' alimentazione artificiale è una terapia: non lo è.
2) Hanno detto che Beppino Englaro avrebbe richiesto la sospensione della terapia perchè sconvolto dal dolore. Non è vero. Lui afferma che: "Eluana era una ragazza che amava la libertà, diceva sempre che non avrebbe voluto vivere una vita che non è vita. Sono suo padre e voglio rispettare la sua volontà".

E' giusto e sacrosanto rispettare la volontà di una persona, in questo caso di Eluana e suo padre lo ha fatto. La Chiesa cattolica parla di misericordia e, nel contempo, taccia Beppino Englaro di assassinio. Usiamo misericordia verso questo padre che ha sofferto e lottato per 17 anni per porre fine a una tragedia senza speranza.
Desidero terminare questo articolo con le parole pronunciate al sinodo del 1998 della chiesa valdese:" Il medico che si rende disponibile all'eutanasia attiva o passiva al fine di porre fine alle sofferenze e esaudire le richieste del paziente non viola alcuna legge divina, ma compie un gesto umano di profondo rispetto".

mercoledì 1 settembre 2010

IL VOTO ALLE DONNE: Un lungo cammino di civiltà


Bisogna riconoscere che la battaglia per il riconoscimento del diritto di voto alle donne, dall'800 al 1946 è tutta in salita. La questione non trova molti consensi nel mondo politico ai primi del 900. Il debutto del voto femminile avvenne nelle elezioni per la ricostutuzione delle amministrative democratiche che si svolsero dal 10 marzo al 7 aprile 1946 in 5.772 comuni. Le donne parteciparono a questo diritto civile in modo molto massiccio, contribuendo a eleggere le prime consigliere comunali. Ma la vera "prima volta" delle elettrici italiane si ebbe con il voto del 2 giugno per il referendum istituzionale e l'Assemblea costituente.

Circa il 90 per cento delle elettrici si recò alle urne. Tra le prime parlamentari italiane che si batterono affinché la Costituzione sancisse l'uguaglianza giuridica fra i sessi ricordiamo le comuniste Teresa Mattei, Teresa Noce, Nilde Jotti e la socialista Lina Merlin.

Nel 1864 Anna Maria Mozzoni nell'opuscolo LA DONNA E I SUOI RAPPORTI SOCIALI denunciava quanto segue: "La donna ha sempre subito la legge, senza concorrere a farla". In quell'epoca al movimento socialista stava più a cuore la legislazione sociale che non il voto alle donne, considerato un obiettivo borghese.

Nel 1910 la questione del voto alle donne fu al centro di un acceso contrasto fra Filippo Turati e la sua compagna Anna Kuliscioff ; Turati era contrario e Anna Kuliscioff favorevole a impegnare il partito socialista in questa battaglia. Tuttavia nel 1912 alcuni deputati socialisti (tra cui lo stesso Turati) proposero un emendamento per estendere il diritto di voto alle donne. Giolitti considerava il voto alle donne "un salto nel buio" e l'emendamento fu respinto con 209 voti contrari, 48 a favore e 6 astenuti.

La questione tornò di attualità dopo la prima guerra mondiale. Anche il papa Benedetto XV si pronunciò a favore del voto alle donne.
Il 6 settembre 1919 la Camera approvò con174 voti favorevoli e 55 contrari la legge che concedeva il voto alle donne. Prima che il provvedimento fosse approvato dal Senato, si verificò lo scioglimento delle camere. Nella nuova legislatura stesso iter: legge approvata dalla Camera dei deputati, ma il Senato non fece in tempo ad approvare la legge.

La marcia su Roma di Mussolini fece saltare tutto. La primavera del 1946 era ancora molto lontana.

giovedì 19 agosto 2010

UNA TEMNPESTA NEL PANTANO

di: Gim Cassano

Lungi da me il sottovalutare significato e conseguenze del “divorzio” tra Berlusconi e Fini, dopo che questi è stato cacciato di casa per manifesta infedeltà tribale. Ma -ed occorrerebbe che la presunta opposizione se ne renda ben conto- non è lecito vedervi quel che non c'è. E non è lecito tentare di mascherare la propria incapacità di proposta sognando scorciatoie miracolistiche per uscire da una crisi nella quale i disastri morali, politici, istituzionali, economico-sociali si intrecciano ed aggravano a vicenda.

Credo che possa essere un utile esercizio il cercare di riportare ai dati di fondo i ragionamenti sulla crisi esplosa all'interno della maggioranza di governo, evitando di ammantare di significati ispirati essenzialmente ai propri desiderata un fenomeno che, a mio parere, è nato -e resta- tutto interno alla destra.

Mi riferisco ai ragionamenti che al riguardo sono stati fatti in primo luogo dai centristi dichiarati, interessati a vedervi la conferma della prospettiva del Terzo Polo, ed in secondo luogo dagli aspiranti centristi che, fuori e dentro il PD, sperano in una qualsivoglia soluzione, anche solo apparentemente diversa dal governo attuale, purchè consenta il realizzarsi di un qualche rimescolamento di carte, e purchè consenta di non affrontare le temutissime elezioni a breve.



Se la cacciata dei finiani dal PdL fornisce l'ennesima conferma circa il modo di concepire la politica che è proprio del sultano, dobbiamo però riconoscere che il tutto non rappresenta una novità, e che è solo il Presidente della Camera a fingere di stupirsi e di indignarsi al riguardo. Ed intanto, prima di ogni altra considerazione, e prima di astrologare su fulminee conversioni alla concezione di uno Stato Liberale, non sarebbe inopportuno porgli alcuni, non irrilevanti, quesiti:

dov'erano l'attuale Presidente della Camera, Della Vedova, Bocchino & C. quando si votavano le leggi ad personam?

si sono accorti solo adesso che la concezione politica che il cavaliere persegue è tale da rendere il Paese più simile ad un miserabile sultanato governato dall'arbitrio che ad uno Stato governato dal diritto?

ed ancora, dov'erano quando si sono fatti i patti con la Lega, con il federalismo quale prezzo del mercato? O quando si sono dilapidati denari pubblici per metterli nelle tasche dei “capitani coraggiosi” di Alitalia e per salvare dal fallimento Air-One? O ancora quando si è votato lo scudo fiscale? E quando si è votato il “Porcellum” o la sordida legge elettorale europea?

Non mi pare che coloro che oggi si raccolgono in Futuro & Libertà, tanto che si tratti del generale che dei suoi colonnelli o caporali, possano esser considerati estranei alla trasformazione del Bel Paese in quella fogna a cielo aperto della quale essi oggi avvertono il tanfo e di cui affermano di dolersi; e mi pare che non possano, a partire da Fini, svegliarsi oggi dicendo: “non so; non c'ero, e se c'ero, dormivo”.

Questa precisazione, di metodo, è necessaria per aver chiaro che non abbiamo a che fare con nuovi campioni della liberaldemocrazia. Che non è una teoria astratta, ma una prassi che non necessita di campioni improvvisi ed improvvisati, e che si fonda su una pratica umile, costante e coerente e su un kantiano rigore intellettuale, politico e morale: e non mi pare di potere osservare grandi dosi.

Ed è necessaria per rendersi conto dei limiti intrinseci, che d'altra parte non solo non sono mai stati smentiti, ma sono anche stati dichiarati, dell'iniziativa del Presidente della Camera. Il quale ha ribadito, ovviamente, la propria appartenenza alla maggioranza di governo, a questa maggioranza.

Il dato essenziale è che ad un matrimonio dettato da considerazioni di opportunità, è subentrato oggi un divorzio dettato da analoghe considerazioni. Lungi da una folgorazione sulla via di Damasco della democrazia liberale, Fini si è reso perfettamente conto che nel PdL berlusconiano il suo ruolo politico, sia pur di n° 2 e di potenziale erede, era venuto meno, e che buona parte dello staff di AN si era fatto volentieri fagocitare nelle concezioni e, soprattutto, negli interessi del sultano.

Ha così imboccato l'unica strada che gli restava aperta: quella della differenziazione politica, portata avanti sui terreni che più gli risultavano favorevoli ed opportuni: quello del rapporto con la Lega e quello del rispetto dello Stato di Diritto e delle sue regole, sui quali poteva realizzarsi la saldatura delle reminiscenze nazionaliste dei post-fascisti con la visione di una Destra più gaullista che peronista.

L'obbiettivo del Presidente della Camera, una volta buttato fuori dal PdL, è quello di riuscire ad imporre ad un cavaliere non più all'apice del gradimento un sistema di governo fondato su rapporti politici tra alleati, anziché tra padrone e servo. Nei suoi atti, nelle sue dichiarazioni, non è possibile leggere altro che una contesa tutta interna alla destra: a quella destra che ha ridotto il Paese nelle condizioni in cui si trova.

Per parte sua, Berlusconi sa bene che ciò significherebbe scalfire la sua concezione autocratica, restituendo un minimo di vita propria alle Istituzioni, e sa bene che ciò renderebbe meno facile la strada per venir “unto” da una sorta di plebiscito popolare nelle vesti di padre-padrone della patria, cosa che gli consentirebbe di bypassare il discredito morale che lo caratterizza, di imporre le “sue” riforme e, a questo punto, di rimettersi in gioco per la presidenza della repubblica. Questa è la materia del contendere; non altra.

Viste così le cose, mi sembra che la crisi della destra seguita al “divorzio” possa realisticamente avere due soli sbocchi:

-Il primo:

Che Berlusconi “imponga” le elezioni anticipate. Con il rischio più che concreto che il Paese precipiti in una campagna elettorale che al sultano risulterebbe facile impostare in termini di plebiscito personale e di sostanziale richiesta del contemporaneo via libera a maggiori poteri all'esecutivo e ad un federalismo disgregatore [risuoneranno i ragionamenti sulla “vecchia politica”, sulla semplificazione del quadro politico, sull'inutilità dei partiti e del Parlamento], ed alla quale l'afasia del Centro-Sinistra, e del PD in particolare, avrebbe ben poco da opporre, se non la consueta difesa di retroguardia e di rimessa.

E, ancor peggio: il voto con l'attuale legge elettorale tenderebbe a riproporre il fallito schema bipolare a vocazione bipartitica del 2008, assegnando ai due maggiori partiti la funzione di arbitri supremi dell'uno e dell'altro campo: la mancanza del voto di preferenza, oltre che non consentire ai cittadini la scelta dei propri rappresentanti, ha anche l'effetto surrettizio di rendere possibili, e quindi appetibili, eventuali accordi riguardanti la presenza in condizioni di eleggibilità nelle liste dei partiti maggiori di candidati provenienti dalle formazioni minori: strumento fortissimo messo nelle mani dei primi per disegnare a tavolino la geografia del proprio emisfero politico.

-Il secondo:

Che invece il sultano, convinto dalle colombe del suo partito, dalle prevedibili resistenze del Quirinale, sul quale non a caso si scatenano gli attacchi dei talebani del PdL, da sondaggi non più splendidi, dal rischio (grave in termini elettorali al Sud) di doversi presentare avendo come unico alleato una Lega, fedele sì, ma che non concede gratis alcuna fedeltà, e che continua ad alzare il prezzo man mano che essa si rivela sempre più insostituibile, pur continuando a brandire il randello elettorale, in realtà lasci decantare le cose. E che, a condizione di non ricevere ulteriori “provocazioni”, si acconci ad un governo fondato sul rapporto tra alleati e almeno all'apparenza non autocratico. Fini potrebbe così sostenere di aver ottenuto ciò che voleva, ma il sultano continuerebbe ad esser tale, pur avendo concesso qualcosa al suo avversario. E, in questa ipotesi, sarebbe interessante vedere quanta e quale volontà di continuare a stare all'opposizione resterà nella cosiddetta terza forza.

Altre possibilità, ad oggi, mi paiono inesistenti o del tutto oniriche, ed occorre non farsi illusioni su cosa ci attende nei prossimi mesi: una politica condotta da un governo incerto ed indebolito, sempre più pesantemente costruito sull'asse con la Lega, incapace di affrontare uno solo dei problemi del Paese (non avendone l'interesse), e screditato sul piano morale; ma reso forte, in assenza di alternative politiche percorribili e durevoli, dal fatto di avere in mano il pulsante rosso della bomba atomica elettorale.

Coloro che vagheggiano governi di transizione, di garanzia, istituzionali (per citare solo alcuni degli aggettivi dei quali si è sentito straparlare in questi giorni), dovrebbero anche indicare quali forze, presenti oggi in Parlamento, dovrebbero sorreggerli, e quali sarebbero i punti minimi ed irrinunciabili che un governo di tal fatta dovrebbe attuare. Ed appare assolutamente poco credibile che governi del genere possano avere la forza di portare a compimento una nuova legge elettorale, che sarebbe, in definitiva l'unica vera ragione che ne potrebbe giustificare l'esistenza, e riguardo alla quale, tra l'altro, le idee sono tutt'altro che chiare.

Ma ciò non basta: la crisi che il Paese sta attraversando non riguarda solo il funzionamento del sistema politico. Vi sono vere e proprie emergenze economiche, occupazionali, sociali. Queste hanno tutte origini antiche, preesistenti alla cosiddetta crisi finanziaria esplosa due anni fa. E sono radici a carattere strutturale: bassa crescita, iniquità fiscale e sociale, eccessive disparità economiche, bassissima mobilità sociale, progressiva estensione della fascia della povertà e della quasi-povertà, che viene a toccare anche la “lower middle-class”, progressiva concentrazione della ricchezza, profitti eccessivi di banche, assicurazioni, utilities; il tutto aggravato da disoccupazione, sottoccupazione e cattiva occupazione, dalle difficoltà economiche dell'apparato produttivo, e dalla carenza e mancanza di generalità del welfare. Al che si aggiunge, come ultimo e durevole frutto dell'età berlusconiana, il dilagare di una corruzione sfrontata e sfacciata, ed il venir meno di ogni barlume di etica pubblica, di equità, di coesione sociale e territoriale.

Coloro che oggi governano, Fini ed i suoi compresi, non hanno fatto nulla per ovviare a tutto ciò; anzi, al contrario, hanno aggravato i problemi con provvedimenti il più delle volte inutili, spesso iniqui. Non per insipienza, ma per deliberato ragionamento; il modello di società che si aveva in mente era ben diverso da quello di una società aperta e coesa.

Se ad un governo “di transizione” non compete certo il dar risposte a tutti i problemi del Paese, esso potrebbe avere un senso solo ove fosse in grado di avviare le condizioni, a partire da una nuova legge elettorale e dal ripristino delle condizioni minime di agibilità democratica (conflitto di interessi, libertà di informazione, ripristino del ruolo del Parlamento) per le quali queste risposte possano esser date.

Ma, ed è qui il punto, tali condizioni non sussistono. Se a destra, a partire dalla Lega, vi è la più totale chiusura su questi punti, il centro è interessato unicamente a rientrare in una qualsiasi maniera in gioco, per affermarsi come forza in grado di condizionare l'uno o l'altro dei due schieramenti alternativi (Francia o Spagna), e dal PD non arriva alcuna idea di società che possa apparire convicente agli italiani.

Non sembra plausibile, quindi, ritenere che sussistano le condizioni per le quali un governo “di transizione” possa avere un senso politico, se non quello di promuovere e sperimentare nei fatti una possibile alleanza tra destra e centristi.

Se si osservano le cose da questo punto di vista, appare in tutta la sua equivoca inutilità la proposta di una eterogenea “Terza Forza” quale potenziale asse della politica italiana, e nella quale molti vorrebbero vedere arruolarsi i finiani e Montezemolo insieme a Casini e Rutelli, con la benedizione di Chiesa e Confindustria. Mi pare difficile che questo progetto possa andar oltre la razionalizzazione degli attuali equilibri sociali e politici, presentando al Paese, forse, e nella migliore delle ipotesi, politiche di destra meno indecorose delle attuali, ma pur sempre orientate al conservatorismo culturale e sociale. Definire come modernizzatrice e liberale questa prospettiva, quando invece vi sarebbe bisogno di interventi e riforme strutturali che, lungi dal razionalizzarle, invertano le tendenze seguite negli ultimi anni, appare la perpetuazione dell'equivoco italiota tendente a confondere le concezioni liberali col moderatismo conservatore.

Tutto ciò detto, sarebbe miopia non valutare il significato e le conseguenze di quella che, a tutti gli effetti, oltre che la crisi della destra, è la fine del bipolarismo a vocazione bipartitica; e, forse, dello stesso bipolarismo. Una cosa è sicura: che il tentativo di forzare l'omologazione speculare della destra e del centro-sinistra su due partiti-contenitore a cosiddetta vocazione maggioritaria, è fallito. A destra ed a sinistra, PdL e PD devono fare i conti con quanto avevano cercato di evitare utilizzando lo strumento della legge elettorale nazionale ed europea: la necessità di dover fare i conti con altre formazioni. Il che, a ben vedere, è l'essenza della politica.

Ma, perché il bipartitismo autoritario possa venir meno, sarebbe necessaria la presenza di “veri” partiti politici, e non i loro simulacri in veste di partito-persona o di partito-contenitore nel quale è possibile pescare un po' di tutto.

Se questo ragionamento riguarda la destra come la sinistra, è su quest'ultimo versante, che mi pare più pressante. Non solo perché è quello che costituisce il mio ambito di riferimento politico, ma soprattutto perché è il concetto stesso di “sinistra”, nella sua accezione universale, a stridere fortemente con l'idea del partito a vocazione leaderistica, o con quella del partito-contenitore. Che sono forme politiche non a caso tipiche della tradizione della destra e del centrismo conservatore, e che in Italia si sono diffuse anche al di fuori di quest'area.

Così avviene che, anche a sinistra, nella generale incapacità di proposta, si privilegi il ragionamento su contenitori e prospettive dei relativi leaders, entro i quali ed al seguito dei quali non appare chiaro ai cittadini cosa realmente si intenda proporre, ed a chi ci si intenda rivolgere: si ha la sensazione che si guardi ad un Paese irreale ed astratto dalle questioni che realmente toccano ed interessano gli italiani.

Ne segue che si praticano comportamenti mancanti di visione strategica, e che la ragion politica si riduca ad un puro gioco nel quale è possibile ogni scelta (vedi, ad esempio, il comportamento del PD in Sicilia). E così si finisce col sognare più o meno apertamente eventuali scorciatoie che potrebbero esser offerte dalla crisi della maggioranza, come se ciò possa mettere in moto, oltre che un rimescolamento di carte tra gli stessi giocatori, le trasformazioni delle quali il Paese avrebbe bisogno, che invece richiederebbero la capacità di progettare e proporre vie del tutto alternative a quelle che il Paese ha percorso negli ultimi 15 anni.

Occorrerebbe invece, e soprattutto a sinistra, per quanto mi riguarda, la presenza di forze politiche che abbiano la capacità di intervenire nel dibattito politico con un progetto ed un'idea di società, e su questi misurarsi e stabilire alleanze e strategie.

Queste considerazioni conducono al problema principale della politica italiana: quello che ai partiti identitari della Prima Repubblica, fondati sì su culture politiche che affondavano le loro origini nel XIX° secolo, ma che comunque trovavano un riferimento importante nel radicamento culturale, sono subentrate formazioni politiche assolutamente prive di ogni forma di riferimento culturale, antico o moderno che sia. Ed incapaci pertanto di esprimere una qualsiasi idea di società sulla quale misurarsi, confrontarsi con le altre forze politiche, e chiedere il consenso dei cittadini.

Ed allora, se è doveroso considerare come condivisibili gli appelli ad un fronte comune di tutte le opposizioni, ad iniziare da quello di Bersani, va chiarito che ciò può avere un senso politico compiuto solo a condizione che l'avversione al berlusconismo e la comune volontà di ripristinare le condizioni di una normale vita democratica non ne siano l'unico legante. A ben vedere, la sussistenza di una normalità democratica non può fondarsi unicamente su istituzioni che formalmente la consentano e sul rispetto delle regole di uno Stato di Diritto, ma richiede anche una società aperta e coesa: cioè libera ed equa.

Ed è sulla definizione di questi aggettivi che si fa difficile un fronte comune di tutte le opposizioni: da Rutelli al PD, al PSI, a SEL, per non parlare di Ferrero (che onestamente ha dichiarato una disponibilità che non implichi la partecipazione a governi riformisti) corrono distanze grandi su molte questioni, che non si limitano a quelle riguardanti le scelte etiche e lo stato laico. E' allora opportuno che si inizi a fare chiarezza al riguardo, non solo per ricercare le condizioni di compatibilità per un fronte comune, ma soprattutto perché la politica italiana ha grande bisogno di chiarezza e di partiti “veri”, fondati su identità che, se non possono essere quelle logore del secolo passato, restano pur sempre il portato di culture politiche che guardino alla società di oggi e di domani. Solo a partire da queste chiarezze mi sembra possibile proporre al Paese l'alleanza elettorale e di potenziale governo di tutti coloro che intendono seriamente opporsi a questa destra. Poi, le elezioni potranno esser vinte o perse; ma, se perse, saranno state perse avendo iniziato a costruire seriamente un'alternativa non fondata su strategie incomprensibili o riposizionamenti di questo o di quello, ma fondata su un progetto riformatore competitivo con l'idea dell'Italia berlusconiana e tremontiana.

A maggior ragione quanto detto ha valore per tutte quelle forze che, da diverse matrici cultural-politiche, si rifanno alla categoria politica di “sinistra”. Se questo termine, in Italia, si è sclerotizzato in termini ideologici, altrove non è così, ed identifica la spinta verso una società progressivamente più aperta, libera ed equa, e la tutela giuridica e sociale del debole rispetto al forte.

Occorre allora che il mondo intellettuale e le forze di sinistra, senza preclusioni, inizino a confrontare e definire le loro posizioni attorno ad un progetto politico, ad un'idea di società alternativa a quella della destra, che queste avviino la costruzione, in termini non ideologici e prescindendo dagli anatemi e dagli steccati del XX° secolo, della cultura politica e del progetto di una società aperta e coesa.

Questo mi appare come il principale, urgente ed ineludibile compito di tutte le forze che, da provenienze diverse, si rifanno alla categoria politica di “sinistra”. E' un compito comunque necessario, a prescindere dalle probabili urgenze elettorali. Non è assolutamente scontato che questo processo possa condurre a conclusioni unitarie; anzi, è altamente improbabile. Ma può e deve condurre a collaborazioni preferenziali ed a comuni strategie, che consentano di uscire dal pantano attuale. Ed è solo a partire da questo chiarimento e da queste collaborazioni che può venir verificata la possibilità di un'intesa comune di tutto il fronte di coloro che intendono ripristinare normali condizioni di vita democratica.

Alle forze minori della sinistra, dal PSI ai Verdi, a SEL, ai liberali e laici di sinistra, a quella parte del PD che è più consapevole della necessità di uscire dal pantano, senza che alcuno abbia la pretesa di interferire nella altrui vita familiare, spetta di avviare questo processo.

Gim Cassano (19-08-2010)

domenica 11 luglio 2010

CHI PAGHERA' LA MANOVRA'? Le fasce più deboli




E' da mesi che veniamo rassicurati, ci è stato detto che abbiamo superato la crisi,che le cose in Italia vanno meglio che all'estero. Adesso: brusco cambiamento di rotta. Il governo italiano ha messo davanti agli occhi del suo popolo la necessità di compiere sacrifici molto pesanti per evitare "il rischio Grecia".
Il nostro super ottimista Silvio ha dichiarato che "abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità". Come si permette di prendere ancora in giro il popolo italiano? Penso che dopo questa manovra sarà seriamente a rischio il welfare locale, specialmente nelle regioni meridionali.
Ci saranno tagli sui servizi essenziali, a discapito delle fasce più deboli. Come vorrebbe un principio di “giustizia sociale”, non si toglie ai ricchi per dare ai poveri, ma si agisce in modo contrario. Questo governo toglie al ceto medio, di conseguenza ci saranno ulteriori nuovi poveri nel nostro paese.
Questa “meraviglia” di manovra colpisce le famiglie italiane. I tagli incideranno sulle famiglie, senza tenere conto del carico familiare. Non si capisce che se mandiamo all'aria la famiglia arriviamo al suicidio demografico.
L'assistenza sanitaria pubblica, la scuola, i servizi per l'infanzia ecc, sono oggi considerati da una certa pubblicità asservita al potere come “sprechi” da cancellare e che devono essere affidati al “libero mercato”. Questo libero mercato senza regole è quello che ci ha regalato l'attuale crisi.
Intanto i poveri aumentano inesorabilmente anche se questo governo, contro ogni logica e non tenendo conto della realtà, tramite i mass media ci fa sapere che “siamo usciti brillantemente dalla crisi”.

sabato 29 maggio 2010

DISABILITA' E SOLITUDINE



Davanti a un portatore di handicap siamo colpiti dal suo dramma più evidente, cioè dal suo stato fisico. Difficilmente ci soffermiamo sui problemi psicologici che questo stato comporta.Bisognerebbe cercare di capire la sofferenza e il senso di solitudine e smarrimento che prova l'individuo con handicap. In questa nostra era automatizzata e superveloce, i modelli che ci vengono proposti giornalmente dai mass media sono di persone giovani, belle, forti ed efficienti che sono in grado di superare con un sorriso i vari problemi della vita. Guai ad essere inefficienti, disadattati, a dare l'impressione di non farcela a tenere il ritmo. La società odierna è molto complessa: da una parte ci sono più opportunità rispetto al passato, d'altra parte assistiamo a contraddizioni e difficoltà.

I depressi, i diversamente abili, chi ha difficoltà fisiche o psichiche oggi vivono male la vita di relazione e possono trovarsi in totale isolamento. Esistono categorie di persone che possono sentirsi disorientate, in un mondo ostile e trovare mille difficoltà sul loro cammino. Il portatore di handicap ha bisogno di sentirsi sempre accettato, di avvertire attorno a se quel calore e quell'armonia che solo un affetto costante può dargli. La sola famiglia non basta. Purtroppo i famigliari del disabile, a volte, si isolano e isolano il disabile con quella malattia che sentono come propria. Questo tipo di atteggiamento è deleterio. Nei casi più gravi la disabilità non può essere solo un problema della famiglia, ma dell'intera collettività. E' compito della società evitare che ciò si verifichi facilitando l'intervento del disabile nelle strutture sociali.

Le attuali norme a tutela degli invalidi prevedono l'abbattimento delle barriere architettoniche che possono ostacolare una completa autonomia e la creazione di nuove strutture alternative come, per esempio, rampe accessibili o carrozzine al posto dei gradini, parcheggi e posti riservati sui mezzi pubblici.

Bisognerebbe dare la priorità ai diritti di chi vive in situazione di disabilità. I disabili devono avere possibilità di scelta fra tutti i prodotti che la scienza mette a disposizione della collettività per raggiungere obiettivi di riabilitazione, integrazione e vita indipendente.

Per avere una vita indipendente il portatore di handicap deve potere disporre di mezzi che garantiscono la sua mobilità. Mi riferisco non soltanto alle barriere architettoniche, ma anche ai trasporti. Quello della mobilità è un grande problema perché la libertà di muoversi consente di andare a lavorare, di fare uso del tempo libero, persino di fare sport e di amare nel modo più conveniente. Per la vita indipendente occorre una cultura che consente il diritto all’autodeterminazione.

Nel nostro ordinamento, sebbene l’articolo 3 della Costituzione sancisca l’uguaglianza e la pari dignità di tutti i cittadini, i disabili restano fortemente discriminati nella nostra società.

Per quanto riguarda l'attività sportiva si va attuando una trasformazione per consentire la partecipazione a ogni attività da parte di persone più sfortunate di altre. Non tutti i portatori di handicap sono da ritenere soggetti esclusi dalla vita collettiva. Bisogna ricordare che la Federazione Italiana Sport-handicap annovera tra le sue fila più di 4.000 atleti che si cimentano in sport di carattere agonistico.

Bisogna che ciascuno di noi faccia la sua parte affinché tutte le differenze siano superate e non ci siano più cittadini di serie A e di serie B.

lunedì 3 maggio 2010

DROGA: FUGA DA UNA SOCIETA' SBAGLIATA?


Incomincio a scrivere questo articolo con una domanda:" Chi è il drogato "? E' forse il malato che ha paura del mondo oppure l'illuso che crede di realizzarsi fuggendo dalla realtà? Penso che la droga risponde a un'esigenza di ribellione contro una vita alienante e insoddisfacente. L'attrazione verso le droghe e in particolare verso gli allucinogeni dipende dal grado di consapevolezza con cui si osserva la società, ciò si esprime attraverso il comportamento di ciascun individuo.
Credo che gli individui che si drogano siano di due tipologie:

1) Il malato di mente che sceglie un ruolo masochistico. Questa è l'espressione della paura e dell'insicurezza. È ovvio che questa è la conseguenza di un condizionamento sociale che ha il risultato negativo di non riuscire a creare uomini "liberi" e con una personalità autonoma.

2) L’altro tipo di individuo è colui che pensa che con la droga può realizzare qualcosa e avere una vita diversa o perlomeno non confrontabile con quella “banale” che gli altri uomini vivono giornalmente.

Spesso la necessità di liberarsi da strutture predefinite e lottare contro qualsiasi tabù sociale può portare il giovane a drogarsi. Molti giovani rovinano la loro esistenza rincorrendo “paradisi artificiali” e facendo guadagnare somme spropositate a esseri orrendi senza coscienza, né moralità che non sembrano nemmeno più uomini ma “mostri” nel vero senso della parola.

Dove si trova allora la via d’uscita, il passaggio verso l’innovazione cosciente? E’ necessario che il giovane sia seguito dalla famiglia, dalla scuola e dalla società. Deve essere rispettato e amato per quello che è e non per quello che vorremmo che fosse.

Oggi dilaga il consumo di droghe fra i giovanissimi. Si è abbassata pericolosamente l’età dei consumatori. Questo fenomeno rappresenta un chiaro segno del disagio giovanile. I ragazzi, in questa fase della loro vita, attraversano una crisi esistenziale che sfocia con la condivisione del gruppo e con comportamenti trasgressivi, come il consumo di droga. I più giovani credono di potere essere “indistruttibili” e non si rendono minimamente conto del danno irreversibile che la droga può causare al cervello.

E' ovvio che non tutte le droghe sono uguali: in genere si incomincia a fumare qualche spinello, poi si passa agli allucinogeni. Dopo, queste doghe leggere non bastano più, non provocano più nessuna emozione e allora si passa all' eroina e a tutti quei tipi di droga che si iniettano direttamente nel sangue. Arrivati a questo punto non c'è più niente da fare. A poco a poco il corpo e il cervello perdono energia e vivacità e spesso la morte è preceduta dalla pazzia e da un lungo torpore.

Spero che i giovani capiscano tutto l'orrore che esiste nel fatto di drogarsi e che possono incanalare le loro energie in ideali superiori per cambiare la loro vita e indirizzarla verso il bello e il buono.

E' assolutamente indispensabile per uscire dal tunnel della droga l'aiuto di un psicoterapeuta che guidi il tossicomane nel processo di riabilitazione sociale attraverso il necessario recupero per avere la fiducia in se stesso. A livello sociale, per la prevenzione della droga, è adeguata un’educazione improntata alla solidarietà che rifiuti la repressione e si basi sulla fiducia nei giovani fornendo strumenti adatti al raggiungimento della responsabilità per ottenere una vita libera e autonoma.

sabato 24 aprile 2010

LAPIDE A IGNOMINIA


25 APRILE LAPIDE AD IGNOMINIA di Calamandrei
{ 10:13, 23/04/2009 } { 0 commenti } { Link }
un’iniziativa per il 25 Aprile: i siti ed i blogs di ispirazione democratica pubblichino “lapide ad ignominia” di Calamandrei.

In occasione del 25 Aprile, proponiamo a tutti i siti e blogs di ispirazione democratica ed antifascista di far apparire nella propria pagina di apertura le parole dettate da Pietro Calamandrei in risposta alle affermazioni di Kesselring che, nel 1952, da poco graziato per “gravi condizioni di salute” dalla condanna (a morte, poi commutata in carcere a vita), e da poco rientrato nella sua Baviera, venendovi da molti accolto come un eroe, una volta al sicuro ebbe a dire di non aver nulla da rimproverarsi, e che anzi gli italiani avrebbero dovuto essergli tanto grati da dovergli erigere un monumento.

Queste parole furono incise su una lapide scoperta il 4 Dicembre 1952, in occasione degli otto anni dallo assassinio di Duccio Galimberti.

Nell’ Italia di oggi sorgono organizzazioni dichiaratamente fasciste, una ventata razzista e xenofoba percorre il Paese, e le pubbliche vie sono aperte a manifestazioni che apertamente proclamano parole d’ordine inneggianti al nazismo, all’odio razziale, alla sopraffazione ed alla violenza nei confronti di ogni forma di diversità.
66 anni fa ha portato alla Repubblica ed alla Costituzione che da poco ha superato i 60 anni, affermando principii ispiratori della convivenza civile validi ancora oggi, per quanto non compiutamente realizzati.

La resistenza di oggi deve mirare a salvare i principii di quella Costituzione che oggi si vuol mettere in discussione; deve mirare a difendere le libertà ed i diritti degli individui e dei cittadini da concezioni autoritarie che impongono o negano scelte di inizio e fine vita, che impongono un’informazione unilaterale e di comodo, che negano il diritto alla partecipazione politica ed alla rappresentatività delle Assemblee elettive, che ostacolano la mobilità della nostra società e ne deprimono l’apertura, che promuovono il privilegio e condannano il merito, che sostituiscono la furbizia al lavoro.

Gli italiani di oggi non devono dimenticare, e devono ricordare cosa costò al Paese la lotta contro la dittatura ed il raggiungere la democrazia: imperfetta come tutte le cose umane, ma non sostituibile con alcuna altra concezione della convivenza civile, politica e sociale. Il rispetto per i caduti dell’una e dell’altra parte non deve confondersi con il considerare equivalenti chi ha lottato per la libertà e la dignità del Paese, e chi ha combattuto dall’altra parte; chi ha imposto e firmato le leggi razziali, e chi a seguito di queste è stato privato dei diritti di cittadinanza, dei beni, della vita.

E gli italiani di oggi devono tener presente come le dimenticanze e la perdita della memoria storica siano una delle premesse dell’involuzione antidemocratica del Paese: la lotta di allora e le battaglie politiche di oggi sono unite da un filo di continuità che non si può e non si deve spezzare.

Internet è oggi l’unico spazio disponibile alla libera circolazione di idee ed opinioni. Come i samizdat nell’Unione Sovietica degli anni ’60 del secolo scorso furono gli unici canali d’informazione praticabili per chi intendesse esprimere posizioni diverse da quelle ufficiali, oggi la “rete” è l’unico spazio libero ed a disposizione per l’informazione passiva ed attiva di tutti, e può costituire un potente veicolo di informazione alternativa.

Proponiamo pertanto che, nel corso delle giornate del 23 e 24 Aprile, appaiano su tutti i siti ed i blogs convinti della necessità di salvare la fragile democrazia italiana, e vengano inviate via e-mail ad amici conoscenti le parole di Pietro Calamandrei:



LAPIDE AD IGNOMINIA

Lo avrai
camerata Kesselring

il monumento che pretendi da noi italiani
ma con che pietra si costruirà
a deciderlo tocca a noi.
Non coi sassi affumicati
dei borghi inermi straziati dal tuo sterminio
non colla terra dei cimiteri
dove i nostri compagni giovinetti
riposano in serenità
non colla neve inviolata delle montagne
che per due inverni ti sfidarono
non colla primavera di queste valli
che ti videro fuggire.
Ma soltanto col silenzio del torturati
Più duro d’ogni macigno
soltanto con la roccia di questo patto
giurato fra uomini liberi
che volontari si adunarono
per dignità e non per odio
decisi a riscattare
la vergogna e il terrore del mondo.

Su queste strade se vorrai tornare ai nostri posti ci ritroverai
morti e vivi collo stesso impegno
popolo serrato intorno al monumento
che si chiama
ora e sempre
RESISTENZA

(da Gim Cassano - Spazio Lib-Lab)

Ho pubblicato questa poesia perché sono convinta che i valori della resistenza e della libertà non devono andare perduti. I morti NON SONO TUTTI UGUALI perchè chi muore per un ideale non deve essere paragonato a chi combatte per una causa sbagliata.

giovedì 8 aprile 2010

LA VITA E' UNA COMMEDIA


Camminavo per un sentiero,
i miei passi
lasciavano impronte.
Ero sola...
eppure molta gente
era dietro di me.
Sentivo risa,
sentivo pianti
ma non potevo voltarmi.
Dovevo andare avanti... avanti.
La vita è una commedia
senza spazi e senza intervalli.
Ogni uomo
sale sul palcoscenico
per recitare il suo copione.
La vita
sul teatro si ferma...
è immobile.
Crede di poter gettare
le sue mille maschere
per poi scendere
giù dal palcoscenico.
Non ha più senso
essere o non essere.
Per ogni volta che amerò,
per ogni volta che soffrirò
non sarà più importante
nascere o morire
ma esistere.


Recitiamo tutti una parte sul grande palcoscenico della vita, ma recitando sempre va a finire che perdiamo di vista la realtà.

domenica 21 marzo 2010

PERCHE' GLI ITALIANI STANNO DIVENTANDO RAZZISTI?



Ogni pomeriggio dal mio balcone vedo quattro bambini giocare. Il gruppetto è composto da Hajar ,una bimba marocchina, Ricky un piccolo rumeno, una cinesina di nome Lynn e Mariangela, una bambina nissena. Il gruppetto è molto rumoroso: questi bambini cantano, saltano, litigano e giocano fra loro. Conosco questi bambini e anche loro mi conoscono, anche perché sono miei vicini di casa. Hajar è la leader del piccolo gruppo, riesce a imporsi e gli altri tre fanno tutti i giochi che vuole lei. Assieme si divertono tanto.

L'altro giorno, però, è successa una cosa spiacevole e antipatica. La mamma di Mariangela è scesa da casa come una furia e prendendo la bambina per un braccio l' ha portata a casa.

Ho chiesto alla signora il motivo di tale comportamento. La sua risposta è stata: - Non voglio che Mariangela prenda brutte malattie. –

- Coosa? – ho detto – ma se è da tanto tempo che giocano assieme? – La signora ha ribadito che prima non capiva a cosa poteva andare incontro la bambina. Come definireste questo atteggiamento? Dire che si tratta di fenomeno “razzista” è poco. Mi domando: cosa spinge una comune mamma, una donna dall’apparenza mite a tirare fuori quest’odio viscerale per scaricarlo su bambini innocenti? Perché il “diverso” fa così tanta paura da scatenare l’odio? Perché non si da ascolto alla ragione?


Realtà virtuale e realtà concreta

Molte potrebbero essere le risposte a questa domanda. L’individuo moderno vive diviso in due realtà. La realtà virtuale si intravede attraverso una magica scatoletta che si chiama televisione. Questa realtà virtuale è formata da tre elementi: ricchezza, bellezza e potenza.

La magica scatoletta ci propina ogni giorno donne bellissime, uomini palestrati, ricchi e potenti, famiglie senza nessun problema sedute attorno a un tavolo a sgranocchiare felicemente biscotti. Sembrano persone provenienti da un altro pianeta. Nell’inconscio dell’individuo comune incomincia a farsi strada un angolino da dove potere incominciare a credere che può benissimo diventare ricco e potente e sua moglie bellissima come Sabrina Ferilli o Maria Grazia Cucinotta. La sua vita può cambiare e anche lui può possedere la fuori serie e la bellissima villa con piscina che hanno i vip.

L’altra realtà è invece vera, concreta e riguarda la vita di tutti i giorni. Si fatica per pagare le bollette, già alla terza settimana finiscono i soldi. Diventa difficile comprare i libri di testo ai figli, diventa un privilegio andare a mangiare una pizza. Le difficoltà sono insormontabili, le mogli sono sciatte e trascurate e i mariti sono nevrastenici perché non riescono a guadagnare abbastanza.

Il diverso come valvola di sfogo

In questo contesto dove la realtà virtuale si scontra violentemente con quella reale, il “diverso” serve per farci sentire superiori e più forti, perché davanti ai vip ci sentiamo piccoli, piccoli. L'extra comunitario è il debole, colui che può essere aggredito facilmente. Ma c'è un altro aspetto da chiarire: lo straniero (marocchino, rumeno, senegalese ecc) col suo carico di miseria e frustrazione rappresenta l'altra faccia della medaglia. Noi sogniamo la villa con piscina, mentre lui vive in una baracca, noi desideriamo abiti firmati, mentre il "diverso" veste con abiti usati e fuori moda. Le persone comuni sanno che si trovano in una condizione socio economica precaria.

Il "diverso" ha la funzione di specchio, riporta alla triste realtà. Disprezzando l'immigrato, l'individuo di oggi disprezza quello che lui stesso potrebbe diventare. Mentre i potenti portano il mondo verso la rovina, noi perdiamo il nostro tempo impegnandoci in una stupida guerra tra poveri.

Diamo ascolto alla ragione e non alle stupidaggini leghiste oppure alla pubblicità ingannevole che ci fa apparire il rumeno come stupratore, il marocchino come ladro e le povere badanti rumene come rovina famiglia. Cerchiamo di essere più intelligenti e maturi di chi ci governa e la nostra Italia diventerà più bella e vivibile.