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lunedì 25 aprile 2016

La Riforma della Costituzione ed il principio di precauzione.

di Michelangelo La Rocca
Dopo anni e tanti tentativi infruttuosi il Parlamento ha approvato una significativa riforma della Costituzione Italiana nata dalla Resistenza per consolidare e difendere la democrazia e la libertà appena conquistate.

Questa riforma ha preso spunto da esigenze e necessità largamente condivise: eliminare il bicameralismo perfetto, dare maggiore stabilità al sistema politico italiano, ridurre il numero dei parlamentari ed altri e tanti altri.

Nonostante ciò le forze politiche si sono divise e la riforma è stata approvata col solo voto favorevole del PD e dei suoi piccoli e pochi alleati provenienti, tra l’altro, in modo trasformistico da schieramenti opposti.

La critica principale che viene rivolta è quella che tale riforma, se approvata, in combinato disposto con la nuova legge elettorale (il c.d. italicum) comporterebbe il rischio di una svolta autoritaria col timore che possa instaurarsi una sorta di dittatura della maggioranza e dell’uomo “solo al comando” di tale maggioranza.

Chi scrive, da sempre interessato alle sorti democratiche del proprio Paese, oggi è in un momento di sofferta riflessione su cosa sia meglio fare, contrastato tra la consapevolezza che una riforma sia necessaria ed il timore che, per i motivi espressi prima, non sia la migliore delle riforme possibili.

Nel mezzo di questa sofferta ed incerta riflessione mi è venuto in mente che nella scienza medica a tutela della salute si applica il principio di “precauzione”.

Se esiste anche solo un serio dubbio che la costruzione di un impianto, l’uso di un materiale di una tecnologia possano mettere a rischio la salute dei cittadini la costruzione di quell’impianto non si autorizza, quei materiali e quella tecnologia non si usano.

Credo che la democrazia e la libertà rappresentino la salute della nostra anima e se esiste un ragionevole dubbio, ed a sentire tanti ed illustri costituzionalisti questo dubbio, che la Riforma della Costituzione di conio renziano possa mettere a rischio la salute della nostra anima di cittadini liberi e democratici questa riforma non deve essere approvata: Ed io non l’approverò!!!





martedì 12 aprile 2016

Croce e Einaudi

Di Rosario Amico Roxas
In un dibattito come questo è importante capire e farsi capire, quindi l’itinerario può farsi anche sdrucciolevole, purché chiaro. Ritengo Croce,il più importante intellettuale del secolo scorso

Correttamente mi viene posta da alcuni lettori, sulle pagine de “L’Espresso” rubrica di Stefania Rossini, l’esigenza di guardare “anche” a Einaudi, proponendo una commemorazione negativa a fronte di quella positiva formulata per Croce.

L’argomento mi sollecita, ma bisogna dilatare il discorso prima di lanciarsi in assoluzioni o in condanne (non ne avrei il titolo). Con Croce parliamo di liberalismo, magari erede delle cultura di fine ottocento, quella cultura che impose a Croce una scelta di opposizione quando si trattò di votare l’inserimento nella Costituzione del Concordato del 1929; di contro, e la cosa meravigliò molti, ci fu l’approvazione da parte di Togliatti, con una scelta di alta strategia politica e diplomatica. In quel caso l’erede del liberalismo ottocentesco dovette seguire l’impegno culturale laico con punte anticlericali, mentre Togliatti aspirata a entrare, di forze e con convinzione nella sfera governativa. Già fin da allora apparve la distinzione tra “liberalismo” e “liberismo”, distinzione che toccherà il massimo della contraddittorietà con i goveni Berlusaconi, falsamente presentati come “liberali.

Non concordo con quanti, ipocritamente assimilano liberalismo con liberismo, come se si trattasse di parenti stretti, oppure di discendenza diretta. Il liberalismo si è nutrito di capitalismo, ma nel rispetto delle regole, quando la società civile meritava di essere identificata come “civile”.

L’antitesi tra liberalismo e liberismo non nasce in epoca remota, ma si è accentuata con la disgregazione dell’ideale liberale, quando le differenze si fecero tali da porre i loro contenuti in antitesi fra di loro.

Il liberalismo voleva e vuole educare gli uomini perché insegna ad auto realizzarsi, perchè l'individuo si perfeziona solo se è libero di realizzarsi come meglio crede. Nel liberalismo storico è nucleo centrale la meritocrazia che risulta strettamente connessa a un'economia di mercato. Esattamente l’opposto di quanto sostenuto dal neo-liberismo targato Berlusconi.

Fu Benedetto Croce ad avviare un dibattito tra liberalismo e liberismo, allo scopo di differenziare le libertà economiche dalle libertà civili, attribuendo alle seconde un rango nettamente superiore alle prime. La distinzione iniziale fu di carattere culturale, ma con dichiarata supremazia delle libertà civili, nel rispetto dell’altrui libertà che non deve essere sopraffatta in nome del mercato.

Dopo questa premessa ecco evidenziarsi talune differenze tra Croce ed Einaudi, senza la pretesa di giudicare, assolvere o condannare, bensì semplicemente annotare; nessuno dei due avrebbe nemmeno immaginato di veder mortificato l’ideale liberale come è accaduto con la “discesa” in politica (il termine, usato dallo stesso Berlusconi, è proprio quello esatto, perché mai, pur nella millenaria storia di Roma, la politica è scesa così in basso, al punto da dover ricorrere a Caligola per trovare un parallelo credibile) di Berlusconi; fin dall’inizio del suo governo venne descritto come liberismo, volendo utilizzare un termine che è diventato dispregiativo e, per questo, antitetico al liberalismo.

Il liberalismo perse così i suoi contorni, fagocitato dal nuovo liberismo berlusconiano che fece scempio della libertà individuale e del rispetto delle altrui libertà, per dare spazio alla legge del più forte, del meno dotato di scrupoli, con lo stimolo all’evasione fiscale, con l’abolizione del reato di falso in bilancio, con le turbative d’asta diventate metodo di attribuzione. La Stato promise (e mantenne la promessa) il suo disinteressamento, per lasciare libero il mercato di regolamentarsi da solo, ma fece di più per incoraggiare tutto ciò che uno Stato democratico avrebbe identificato come reato penale: il liberismo berlusconiano ha provveduto a tranquillizzare i suoi sostenitori, inventando sanatorie l’una dopo l’altra, condoni che premiavano gli evasori e punivano i redditi dipendenti, costretti a pagare alla fonte; quindi il massimo con lo scudo fiscale che permise il rientro dei capitali frutto di evasione fiscale e dei movimenti economici che hanno dilatato a dismisura il debito pubblico, garantendo il diritto all’anonimato ottenendo in cambio la gratitudine (e la protezione) di tutte le mafie, anche quelle rinnovate con i colletti bianchi.

Liberismo assume oggi una valenza dispregiativa, che ai veri liberali ortodossi e proiettati verso “un liberalismo del terzo millennio”, non conviene nemmeno ricordare.

Oggi l’Italia intera è chiamata a pagare gli errori commessi in mala fede, che hanno arricchito pochi e depauperato la stragrande maggioranza del paese.

Il liberalismo può ancora partecipare, a pieno diritto, ad un nuovo risorgimento economico, politico, sociale ed etico, ma deve dialogare con le parti che fin ora sono state identificate come avversari, per promuovere una sempiterna “lotta di classe” a vantaggio della classe più opulenta, collocandosi al Centro della politica e in dialogo costruttivo con la Destra conservatrice purchè democratica e col la sinistra social-democratica non marxista

Con la fine di Berlusconi, finisce il liberismo di mercato, dello Stato disattento, dei condoni e delle sanatorie, nonché delle leggi ad personam; finisce, praticamente “il capitalismo liberista” che dovrebbe poter essere sostituito dal “capitalismo sociale” che nasce dall’incontro (e non più dallo scontro) del capitale-denaro con il capitale-lavoro, disposti, entrambi, paritariamente, a collaborare nella solidarietà sociale.

martedì 5 aprile 2016

Se la sanità è più malata dei suoi pazienti...


Di Michelangelo La Rocca

Tra i compiti fondamentali dello Stato e delle sue diverse articolazioni istituzionali, in particolare le Regioni, c’è sicuramente la tutela della nostra salute.

Oggi questo delicatissimo compito viene assolto soprattutto dalle Regioni tramite il Servizio Sanitario Nazionale.
Diciamo subito che la vecchia Europa, ed all’interno di essa la nostra Italia, sono conosciuti nel mondo per servizi sanitari avanzati e solidaristici e non è un mistero che persino Obama per la sua riforma sanitaria si è in qualche modo ispirato ai sistemi europei.

Nonostante ciò pensiamo che il sistema sanitario italiano possa, anzi debba, funzionare meglio, eliminare atavici ritardi, far diventare i propri servizi omogenei su tutto il territorio perché ora i livelli delle prestazioni sanitarie variano da Regione a Regione e, ad esempio, in Sicilia non hanno la stessa qualità che hanno in Lombardia.

Ancora oggi sono frequenti i così detti viaggi della speranza che portano pazienti da Agrigento a Milano per tutelare il bene più prezioso che abbiamo: la salute, la nostra salute.
Tutt’ora si muore di parto negli ospedali e si è costretti ad interrogarci se queste morti verificatesi durante le feste di fine anno abbiano avuto a che fare con la particolare organizzazione dei turni di lavoro di quel periodo: simili dubbi in un Paese civile non dovrebbero sorgere mai.

E’ doverosa una premessa, mi accingo a scrivere queste considerazioni sulla sanità italiana senza vantare alcuna specifica competenza in merito se non quella di utente, di paziente.
Può sembrare una competenza, un’esperienza di poco conto, ma non è così. Se ci pensiamo bene il “paziente” dovrebbe essere al centro del sistema sanitario se è vero, come è inconfutabilmente vero, ciò che abbiamo detto in principio di questo scritto: e cioè che la precipua finalità del Servizio Sanitario Nazionale è quella, non può che essere quella, di tutelare la salute del paziente, la salute in tutte le sue varie articolazioni: quella fisica e quella psichica.

E’ così?
E’ la domanda alla quale proverò a dare una risposta al termine di questa mia riflessione, ma temo che alla fine la risposta non sarà positiva, anzi sarà tutt’altro che positiva.

Chi è il paziente?
Il paziente, in medicina, è una persona che si rivolge ad un medico o ad una struttura di assistenza sanitaria per accertamenti o problemi di salute.
Il termine deriva dal latino patiens, il participio presente del verbo pati, intendendo "sofferente" o "che sopporta".

Paziente è anche chi fa esercizio di pazienza, che sa attendere, sa tollerare. E diciamo che termine migliore non si potesse scegliere per indicare l’utente della sanità, la sua è una vita di lunghe attese, di tante sopportazioni, di infinite tolleranze.

Non a caso e non per caso un problema che cronicamente affligge la sanità italiana sono le famigerate liste d’attesa, sempre lunghe ed interminabili.

Tanti, tantissimi governanti in campagna elettorale (solo in campagna elettorale) hanno annunciato di voler ridurle od addirittura eliminarle senza mai riuscirci.

Ancora oggi anche nel più virtuoso Nord dell’Italia non è raro dovere attendere più di un anno per una visita oculistica o quasi un anno per un ricovero per un intervento chirurgico anche di ordinaria amministrazione.

Tutto questo capita per caso?
Secondo me no.

Avendo avuto a che fare con la sanità di varie Regioni italiane (dalla Sicilia alla Liguria, dal Piemonte alla Lombardia, dalla Toscana all’Emilia-Romagna), posso dire che il problema dei problemi, quello che ammorba il sistema sanitario nazionale è l’insano rapporto che c’è tra la sanità pubblica e la sanità privata, un rapporto non di virtuosa concorrenza ma di morbosa complicità.

Fino a quando non sarà tagliato l’ammorbato cordone ombelicale che lega i due sistemi la sanità italiana sarà chiamata a curare prima di tutti se stessa: è triste ammetterlo, ma è così.
E credo che il modo per recidere in modo netto questo patologico cordone ombelicale è uno, uno soltanto: prevedere l’assoluta incompatibilità tra impiego nella sanità pubblica e quello nella sanità privata.

Un solo Ministro della Salute ci ha provato ed è stata Rosi Bindi, ma la sua permanenza in quel ministero è durata lo spazio di un solo mattino e quello che è più grave è il dovere constatare che è stato il suo stesso partito a silurarla senza prova d’appello.

Domandiamoci il perché.

Una prima risposta ci è venuta da un’indagine tutt’ora in corso sulla sanità lombarda dalla quale si è appreso di tangenti pagate per allungare le liste d’attesa nelle strutture pubbliche per favorire le strutture private.
E’ notorio che oggi i migliori primari ospedalieri visitano privatamente e lavorano anche nelle cliniche private.

Spesso le visite private, dopo le quali emettono (quando le emettono) salatissime parcelle per pochi minuti di prestazione, non servono ad altro che a prenotare un posto in un pubblico ospedale magari per essere sottoposti ad un intervento chirurgico.

Tutti lo fanno, tutti lo sanno, ma nessuno interviene: come mai?

Ma non finisce qui. Altro pernicioso male che affligge la sanità è la corruzione, non passa mese senza che si verifichi uno scandalo di gravità inaudita, che coinvolga dirigenti di alto livello e politici di primaria importanza: è di pochi giorni fa lo scandalo che ha coinvolto la Regione Lombardia e non è prima volta che ciò accade.

E quello che scandalizza ancora di più è il fatto che gravi fatti corruttivi accadano in una Regione che si vanta, e forse anche non a torto, di avere un sistema sanitario di eccellenza, il migliore in Italia.

La corruzione è un cancro che ha ammorbato l’anima del nostro Paese, che l’ha relegato ai margini dell’Europa accostandolo dal punto di vista etico ai Paesi del terzo mondo.

La dimensione quantitativa del fenomeno corruttivo è tanta e tale da incidere anche sulla crisi economica, se solo si pensa che la spesa sanitaria assorbe più della metà dei bilanci delle Regioni italiane è facile capire di che cifre si sta parlando.

La corruzione ha effetti cancerogeni sul tessuto etico del nostro Paese, ma la corruzione nella sanità è ancora più perniciosa e mortifera: sottrarre risorse, e spesso ingenti risorse, alle terapie, alla ricerca contro le malattie più pericolose e mortali non è soltanto un delitto contro la pubblica amministrazione, è qualcosa di più e di più grave e come tale deve essere affrontato sia a livello di prevenzione che di repressione.

Serve una più appropriata e severa quantificazione delle pene, proporzionate all’efferatezza dei delitti commessi.
Sottrarre anche solo un centesimo di euro alla lotta contro le malattie e le sofferenze, spesso atroci, che esse provocano è inaccettabile, intollerabile, chi si macchia di simili crimini non merita di essere considerato un essere umano.

E’ amaro dirlo, lottare contro le malattie, specie quelle croniche e più perniciose, è terribile, ma spesso avere a che fare col sistema sanitario è anche peggio: parola di paziente!